Alberto Burri e la drammaticità della materia

Sabato, 24 Ottobre 2015 00:00
  

Non sempre gli artisti sono nati tali o hanno intrapreso sin da giovani il loro percorso artistico. Alcuni hanno scoperto la loro predisposizione in età avanzata, quando erano già affermati in altre professioni, poi abbandonate per seguire la loro inclinazione. Come Paul Gauguin e Stefano Arienti, anche Alberto Burri (1915-1995) è uno di questi.

Burri era un ufficiale medico durante la II guerra mondiale finché, fatto prigioniero per tre anni nel campo di concentramento in Texas, iniziò a coltivare la passione per la pittura. Tornato in Italia decise di abbandonare definitivamente la sua professione e iniziò a dedicarsi totalmente all’arte, diventando l’artista italiano che, insieme a Lucio Fontana, ha dato il maggior contributo al panorama artistico internazionale del Secondo Dopoguerra.

 

Sacco 5P 1953

Sacco 5P, 1953

 

 

A cent’anni dalla sua nascita, il Guggenheim di New York organizza, dal 9 ottobre al 6 gennaio 2016, Alberto Burri: The Trauma of Painting. La più grande rassegna mai realizzata in onore dell’artista italiano ha luogo così proprio negli Stati Uniti, dove ebbe inizio la vita artistica di Burri. Dedicatosi inizialmente alla pittura tradizionale, dagli anni ’40 la abbandona del tutto per indagare le qualità espressive della materia nell’ambito di quella tendenza astratta che si sviluppava in quegli anni in Europa e che era definita “informale”. Il termine non indicava un’arte senza forma, ma il superamento della forma stessa, attraverso il rifiuto dei soggetti e degli schemi figurativi tradizionali, inventando opere radicalmente nuove, cariche di quell’angoscia esistenziale tanto presente negli artisti del Secondo Dopoguerra.

 

Sacco B 1953

Sacco B, 1953

 

 

I materiali che Burri tratta sono poveri e inconsueti. Brandelli di vecchi sacchi strappati e poi ricuciti, che un tempo avevano raccolto la farina e lo zucchero portati dagli americani con la liberazione, acquisivano così una vita diversa, creando opere come i Sacchi (dal 1949), i Catrami (1950), le Muffe (1950-53) che suscitarono inizialmente scandalo e derisione.
Burri sostituisce così i materiali della pittura. La materia del sacco è materia artistica di per sé stessa, senza velature, senza vernici, trasformata soltanto dai segni del tempo, che nella sua povertà rimanda a tonalità di colore diverse e variazioni di luce che creano nuove forme plastiche.

 

 

Combustione Legno 1957
Combustione Legno,1957

 

 

Rosso plastica 1964

Rosso plastica, 1964

 


La svolta significativa della sua arte avviene con l’introduzione del fuoco per modellare i materiali. Con la fiamma brucia i legni e le plastiche con cui realizza i suoi quadri aprendo squarci e gonfiando tumefazioni (Rosso plastica, Combustione Legno). Il risultato finale sembra rimandare a un vissuto esistenziale carico di drammaticità e di memorie, pienamente giustificato dal contesto del dopoguerra, dell'esperienza della prigionia e della sua cultura medica. 

Dagli anni Settanta in poi la sua poetica porta alla più suggestiva espressione il concetto di “consunzione” con la serie dei Cretti che, realizzati in bianco o in nero, hanno l’aspetto della terra essiccata. La parola “cretto”, infatti, significa letteralmente crepa, fenditura, spaccatura, specialmente di una superficie  intonacata  o  verniciata o di un oggetto di terracotta.

 

 

Grande Cretto Nero
Grande Cretto Nero, 1976

 

 

Nel 1978 Alberto Burri dona al Museo di Capodimonte di Napoli il Grande Cretto Nero. L'opera, realizzata  in  acrovinilico su cellotex, s'inserisce nelle sale del Museo, all'interno del percorso della pittura napoletana del Seicento, richiamo moderno al fenomeno del craquelure nei dipinti antichi, in riferimento agli effetti prodotti dal movimento della materia.

 

 

INFO

http://www.fondazioneburri.org/http://www.fondazioneburri.org/

http://www.burricentenario.com/http://www.burricentenario.com/

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