Tra un mese ci saranno le elezioni.
Musica lugubre di sottofondo: tadadadaaam.
Scommetto che la maggior parte dei lettori che si troveranno a spulciare queste due righe non ha la più pallida idea di chi votare. Neppure da che lato schierarsi, che direzione prendere, per chi simpatizzare, a chi fare un occhiolino...un sorrisino? Niente? Incredibile! Di sicuro, se sto qui a scrivere delle comuni incertezze, non è perché ho la sfera di cristallo e riesco a leggere nei pensieri della gente, ma perché, come risulterà chiaro ai più, la situazione politica italiana è al momento disastrata. Non che in passato sia stata migliore, ma il degrado morale in cui pare abbiano smarrito la via i nostri presunti rappresentanti è quanto mai evidente. Insomma, “più in basso di così c’è solo da scavare” direbbe il buon Daniele Silvestri. Lo so, lo so, sto scadendo nel banale e vi chiederete che diamine c’entrino questi discorsi triti e ritriti con il libro che dovrei recensire. Ebbene, vorrei proporre alla vostra attenzione un classico della letteratura italiana: Gli indifferenti, di Alberto Moravia. Uno di quei mattoncini di cemento armato che, a sentirlo nominare a scuola, ci si metteva a correre come pazzi: “si salvi chi può!!!”. Come accade nella stragrande maggioranza dei casi, affrontare serenamente una lettura simile, liberi dallo schioccare della frusta scolastica, rende l’esperienza assai diversa da quel che ci saremmo aspettati. Insomma, non sarà un caso se questo dannato libro è stato definito un capolavoro! Scritto, tra l’altro, da un Moravia appena diciottene (avviata la stesura dell'opera nel 1925, Moravia pubblicò il volume a proprie spese nel 1929), un ragazzino che, a quanto pare, riusciva a vedere molto più in là del proprio naso, oltre l’orizzonte e dentro se stesso, dentro il proprio mondo, dentro la società, scrutando con occhio attento, registrando una realtà scomoda, grottesca, fredda, raccapricciante, ma pur sempre realtà. E così, ecco, un ragazzino compie il ritratto lineare e perfetto di un’indolenza diffusa e, direi, non ancora estinta, con una lucidità estranea, per giunta, a non pochi adulti di ieri e di oggi.
Col senno di poi, pare che Moravia rifiutasse ogni tipo di pessimismo attribuito alla sua penna e, piuttosto che una critica quasi satirica della società, lo scrittore rivendicava solo l'intento di fondere il teatro con la prosa del romanzo.
Eppure il libro è scritto, l'analisi ben concepita, tutto nero su bianco e da lì non si torna indietro.
Compongono l’opera cinque personaggi, dipinti con tratti leggeri, superficiali e separati gli uni dagli altri da un sottile ma impenetrabile vetro d’apparenza. Essi devono mandare avanti lo spettacolo delle loro esistenze, comunque vada, vittime e complici di un pubblico fantasma. Carla, Leo, Mariagrazia, sono anime perdute, sulla cui pelle di seta, ornata di ricche stoffe, scivola l’orrore come fosse acqua. Il tradimento, la crudeltà, l’inganno, la lussuria, l’ipocrisia, sfiorano appena gli sguardi di questi spiriti inquieti, destinati a vagare in una spessa nebbia di apatia, condannati e rovinati dalla loro stessa indole meschina.
Michele, l’unico personaggio ancora vivo, ancora capace di lottare, di indignarsi, di aprire uno spiraglio nella notte buia in cui sonnecchia colpevole la sua famiglia, fino all’ultima pagina tenterà disperatamente di prevalere, di non arrendersi alla corruzione. E qui mi fermo, evitando di rovinare il finale a quei lettori amanti delle sorprese e che, come me, non tollerano le recensioni troppo approfondite e “spoileranti”.
Tuttavia, sento di poter aggiungere ancora qualcosa su questo libro:
Moravia, con questo romanzo, intendeva denunciare e condannare la borghesia fascista, pigra complice della dittatura di Mussolini, che aveva presto scordato gli orrori che tanto avevano scosso l’opinione pubblica solo pochi anni prima, tra i quali è giusto ricordare il delitto Matteotti del 1924.
Eppure, sfido chiunque a non ritenere Gli indifferenti un libro estremamente attuale: se solo per un istante si spegnesse la luce su queste date e queste inquadrature storiche, su questa precisa e ben nota contestualizzazione, chi potrebbe mai affermare che questa non è una precisa e nitida fotografia di quel che oggi viviamo noi, cittadini del (Futuro! Progresso!) 2013?
E se Alberto Moravia ci vedesse oggi, a vivere così, a sopravvivere, cosa potrebbe scrivere oltre a quello che è già stato scritto e da cui, ahimè! non abbiamo imparato nulla?
Come il colpo di scena finale di un film ben girato, mi vengono in mente queste parole:
Crudeltà e ingiustizia, intolleranza e oppressione. E lì dove una volta c'era la libertà di obiettare, di pensare, di parlare nel modo ritenuto più opportuno, lì ora avete censori e sistemi di sorveglianza, che vi costringono ad accondiscendere a ciò. Com'è accaduto? Di chi è la colpa? Sicuramente ci sono alcuni più responsabili di altri che dovranno rispondere di tutto ciò; ma ancora una volta, a dire la verità, se cercate un colpevole.. non c'è che da guardarsi allo specchio.
N.B.
Buona l'edizione Tascabili Bompiani con introduzione di Edoardo Sanguineti.