La strepitosa attrice si è sottoposta ad asportazione delle ovaie per prevenire il cancro.
Ne avevamo già parlato nel maggio 2013 in un articolo che potete trovare al seguente link: http://www.mygenerationweb.it/articoli/tendenze/pink-generation/cancro-il-discusso-no-di-angelina.
In quell'anno la bellissima Angelina Jolie si sottopose a mastectomia bilaterale...la motivazione? Prevenzione. Già, proprio così. Avendo scoperto, grazie ad approfonditi test genetici, di avere il gene BRCA1 ( Breast Cancer Type 1 suscetibily protein ) mutato, la nostra wonderwoman prese questa drastica decisione.
Cosa è la mutazione in BRCA1? Lo ricordiamo tanto per rinfrescare la memoria alle nostre lettrici interessate: si tratta di un gene oncosoppressore, cioè un gene che 'controlla' la crescita cellulare evitando una spropositata proliferazione delle cellule di quel determinato organo; la mutazione loss-of-function di questo gene fa perdere il controllo proliferativo alla cellula e questo può portare alla formazione del tumore. Ma, senza addentrarci nuovamente nelle statistiche che il mondo scientifico accuratamente ci fornisce (le trovate nell'articolo sopra riportato), quello su cui vorrei focalizzare la vostra attenzione oggi è quanto la decisione di Angelina stia rivoluzionando il mondo della medicina preventiva.
Ancora una volta l'attrice decide di sottoporsi a un intervento chirurgico, ma stavolta non è tutto 'facilmente' risolvibile con una plastica al seno. Sappiamo bene come le ovaie siano organi importanti per la vita sessuale della donna e possiamo facilmente intuire come l'asportazione di queste porterà, a chi più e a chi meno, tutta una serie di effetti collaterali menopausali che molte donne tanto odiano: flushes, alterazioni dell'umore, secchezza delle mucose, perdita della libido e così via.
Angelina nell'intervista rilasciata dichiara che, essendosi sottoposta ai routinari test di controllo, i medici abbiano riscontrato i marckers tumorali leggermente alterati, campanello di allarme di una evenienza a cui prepararsi ... l'attrice, senza pensarci due volte, ha così deciso di uscirne subito. Con tutto il rispetto per quelle come noi, probabilmente se a prendere una decisione del genere fosse stata la signora della porta accanto a nessuno sarebbe fregato niente, di certo un forte impatto sociale ha avuto invece la scelta presa da una delle più famose attrici di hollywood nonché ambasciatrice Onu. La bella Jolie dà le sue spiegazioni, afferma di averlo fatto per poter vedere i figli crscere e di essere pienamente consapevole di tutte le modifiche a cui il suo corpo andrà in contro.
Cara Angelina ti consoliamo dicendoti che siamo certi che la tua sia stata una decisione presa con cuore e cervello. Una donna in gamba come te sa che impatto sociale possa avere una scelta del genere e vogliamo dirti che siamo fermamente convinti che...strafiga eri e strafiga rimarrai!
Ricordo nitidamente un’immagine della mia infanzia, quella di donne dell’età di mia madre (ma anche di mia nonna) che orgogliosamente indossavano morbide e sontuose pellicce. Ora non so se si trattasse di pellicce vere, ma immagino che molte lo fossero, visto che ad indossarle erano signore che sapevo essere piuttosto facoltose. Non oso immaginare quanti e quali capi sfoggiassero poi le donne della Napoli bene, quelle di Via Dei Mille per esempio o le abituali frequentatrici del Teatro San Carlo o dei circoli vip, le mogli di famosi primari ospedalieri e via discorrendo. Certo è che già a quell’epoca rimanevo piuttosto basita dall’atteggiamento superbo con cui queste signore sfoggiavano, lasciatemelo dire, nient’altro che i resti di animali morti.
Devo dire di essere sempre stata piuttosto sensibile alla “questione” animali, tanto che più volte mi sono rifiutata, sempre da bambina, di mangiare la carne, chiedendo ai miei genitori perché si dovessero uccidere degli animali per nutrirci, prima di venire a conoscenza della catena alimentare. No, non sono diventata né vegana né un’animalista agguerrita ed impegnata in manifestazioni a favore degli animali, ma di certo nutro per loro un grande amore, soprattutto per i gatti, avendone due. Sono fermamente convinta che gli animali, in quanto esseri viventi, così come le piante e tutto quanto facente parte della natura, vada profondamente rispettato e protetto, senza estremismi, considerando sempre che l’essere umano, pur essendo al vertice della creazione, non abbia alcun diritto di sfruttare in modo indiscriminato altre “creature”.
Sono d’accordo (e immagino che potrò suscitare disdegno in alcuni lettori), sull’uso degli animali da laboratorio per la sperimentazione dei farmaci, se questi, come nel caso degli antitumorali o di altre importanti classi, consentono di salvare o prolungare la vita di milioni di persone malate. Esistono protocolli stilati con il beneplacito di comitati etici che stabiliscono regole, più o meno condivisibili, ovviamente, riguardo tale argomento. Personalmente provo orrore all’idea che animali domestici, come il cane o il gatto, vengano torturati: non che la loro vita valga più di quella dei topini da laboratorio ma è innegabile che le differenze ci siano. Ciò che proprio non mi va giù è pensare che si debbano torturare animali per scopi che non siano “alti” e sicuramente tra questi c’è la fabbricazione di pellicce.
Lo sappiamo tutti, l’abbiamo studiato alle elementari. Gli uomini primitivi indossavano le pelli degli animali poiché era per loro l’unica possibilità di ripararsi dal freddo. Allo stesso modo sappiamo bene che oggi, grazie alle innovazioni nel campo della tecnologia tessile, si possono produrre un’infinità di capi altrettanto caldi che, oltre ad essere funzionali, sono anche estremamente eleganti. Da qui nasce la mia incredulità rispetto al fatto che, ancora oggi, esista chi, pur di indossare uno degli “status symbol” per eccellenza in fatto di abbigliamento, approva deliberatamente la tortura di animali.
Spero di non assistere mai ad una conversazione del genere nella mia vita. Tra le modalità di uccisione degli animali, menzione del tutto a parte merita lo scuoiamento: la pelliccia è rimossa dal povero animale mentre è ancora vivo, lasciandolo morire lentamente e dolorosamente. Non si può che provare orrore, a mio modesto parere.
Sono numerose le associazioni che lottano nel mondo affinché queste pratiche diventino un ricordo di tempi lontani, ma non tutti i paesi sono, per così dire, sensibili all’argomento e sebbene in molti esistano leggi in difesa degli animali, si sa: “fatta la legge, trovato l’inganno”. Tra le associazioni che operano per la tutela degli animali, non solo relativamente alla questione pellicce, vi è PeTA (People For The Ethical Treatment of Animals), attiva in tutto il mondo attraverso numerose campagne di sensibilizzazione, diffusione di informazioni che molto spesso ignoriamo e petizioni. Numerosi sono i personaggi famosi del mondo dello spettacolo, dal cinema alla musica alla moda, che prestano il loro volto a favore di nobili cause. Quest’anno, a proposito del nostro capo incriminato, è stata la volta di Pink, la famosa ed eclettica cantautrice statunitense. Pink è stata la principale protagonista di una campagna targata PeTA dal nome “Meglio nude che in pelliccia”, nella quale viene ironicamente suggerito di “imparare a sentirsi a proprio agio nella propria pelle lasciando che anche gli animali facciano altrettanto”.
Se Pink ha attirato soprattutto l’attenzione dei media, senza tralasciare quella di tutti coloro (fan e non) che hanno potuto ammirare il suo bel corpo tatuato e la sua nuova capigliatura, tre attiviste di PeTA hanno fatto grande scalpore durante la settimana londinese della moda lo scorso mese, presentandosi completamente nude davanti alla Somerset House con un cartellone, rigorosamente rosa, recante il medesimo slogan a coprire il lato A. Il lato B nel frattempo è stato preso d’assalto dai flash. Saranno riuscite nel loro intento di sensibilizzare l’opinione pubblica o avranno solo creato un bell’ingorgo nel centro della capitale inglese? Ci sarebbe da informarsi sul numero di tamponamenti avvenuti durante quella giornata! Scherzi a parte, non c’è dubbio che con questa “trovata” abbiano fatto conoscere PeTA a chi come me (lo confesso) non ne era a conoscenza.
Molte altre star hanno prestato i loro corpi per questa ed altre nobilissime cause, tra cui il divieto ad impiegare gli animali negli spettacoli circensi e la protezione delle povere anatre, letteralmente torturate per preparare il pregiatissimo paté de foie gras. Personalmente, mi sono sempre rifiutata di assaggiarlo; tra l’altro si tratta di un cibo grasso per definizione. Direi che sarebbe il caso di unire l’utile al dilettevole ed evitare di consumarne, in Francia ovviamente, perché in Italia è vietato da una legge del 2007.
Nel nostro Paese la LAV (Lega Anti Vivisezione) ha presentato una proposta di legge in materia di “Divieto di allevamento, di cattura e di uccisione di animali per la produzione di pellicce”, chiedendo che sia vietata l’apertura di nuove strutture, che siano chiuse quelle esistenti da un anno dall’entrata in vigore della legge ed altre forme di tutela per gli animali. Il triste dato è che in Italia vi sono ancora ben 18 strutture che causano la morte di oltre 150000 visoni l’anno.
Se da un lato è necessario tutelare gli animali con una specifica normativa, dall’altro è essenziale l’esempio proveniente dal mondo della moda. Vedere sfilare in passerella modelle in pelliccia non è di sicuro un elemento che scoraggia le donne ad acquistarne una per sé. A tal proposito, è da lodare la politica adottata dal gruppo Inditex, quello di Zara e Bershka per intenderci, che ha sottoscritto con la Fur Free Alliance l’impegno a non utilizzare nelle sue collezioni nessun tipo di pelliccia di animale, compresa quella di coniglio. Mi auguro che molti altri brand possano seguire lo stesso esempio e soprattutto che si comprenda che non si può barattare l’illusione della bellezza, né l’ostentazione della propria ricchezza, con la vita di un animale.
E consentitemi di lasciarvi con una riflessione leggera, rivolta soprattutto alle amiche lettrici. Partendo dal presupposto banale che una pelliccia la si indossi per piacere a qualcuno, credete davvero che ad un uomo importi di vedervi in pelliccia piuttosto che nude? E se proprio volete illudervi che l’abbigliamento faccia la differenza, almeno acquistatene una completamente sintetica. Una volpe ringrazia!
Pur essendo donna, ammetto che non sempre riesco ad essere solidale con alcune rappresentanti del gentil sesso, soprattutto con gli esemplari, sempre più diffusi, di donna eternamente lamentosa, isterica e proibitrice. Con questo non voglio dire che anch’io non cada o non sia caduta in alcuni dei più fastidiosi atteggiamenti, che i poveri uomini sono costretti a tollerare per amore e per il buon andamento di una relazione sentimentale. Uno dei miei slogan di vita, infatti, è: “Autocritica, sempre!”.
Di sicuro, esistono donne che, al contrario, a fare autocritica rispetto ai propri comportamenti non ci pensano neanche un secondo, partendo dalla certezza assoluta di avere sempre e comunque ragione.
Trascorsa la festa della donna, ho sentito, quindi, il bisogno di spendere un po’ del mio tempo e qualche parola in difesa del genere maschile, tanto spesso bistrattato (da me in primis, in questo periodo della mia vita!).
Insomma, esiste pur sempre l’altro lato della medaglia. E, in questo caso, si tratta degli adorabili portatori del cromosoma Y, quelli senza i quali le donne, oltre che non poter procreare, non avrebbero uno dei più quotati argomenti di cui parlare e per il quale sprigionare quantità industriali di adrenalina.
Passiamo quindi in rassegna i primi 5 peggiori tormentoni ai quali le donne sottopongono i loro compagni:
Certo, esistono uomini che, vuoi per passione per la moda e l’abbigliamento, vuoi per narcisismo o per gelosia, perché non lascerebbero mai uscire le loro donne da sole (anche chiamati "i siciliani degli anni ’20"), trovano lo shopping un momento piacevole o addirittura di svago. Ammettiamolo, si tratta della minoranza. Nella maggior parte dei casi, la fatidica domanda “tesoro, stamattina che siamo liberi, ti va di andare a fare qualche spesa?”, è seguita nella mente maschile da una visione apocalittica, che si traduce nella risposta sommessa: “Certo, tesoro...”.
Soprattutto quando l’uscita è programmata perché lo shopping lo faccia solo lei.
“Devo assolutamente comprare un borsa nuova”, “Mi manca un paio di scarpe da abbinare all’abito per il matrimonio a cui siamo stati invitati”, “Non so cosa mettere per il lavoro, i mezzi tempi mi mandano in crisi”. Qualsiasi sia il pezzo mancante, la donna ha sempre una necessità impellente, che richiede tempo, km a piedi, concentrazione e gli immancabili consigli del compagno.
E se, malauguratamente, l’uomo non approva un acquisto, il confine tra il muso lungo e il litigio è davvero labile: “Quindi non mi sta bene? Di’ la verità, è perché sono ingrassata!”, “Quando mai ne hai capito di moda, tu?”. Solo per citare le espressioni più gettonate.
E li vedi disarmati, impotenti, frustrati, sudati, contare i minuti alla fine dello strazio e lanciarsi tra di loro occhiate complici, in file interminabili alle casse, fuori ai camerini di prova, con uno smartphone come unico “salvatore”, da consultare rigorosamente di nascosto per il rischio di ricevere l’accusa di risultare distratti.
Ragazze, ma perché, dico io, sottoporli a questo supplizio? Valutate la possibilità di cambiare, almeno una tantum, l’accompagnatore: amica, mamma, sorella? O magari optate per una bella passeggiata da sole in tutta tranquillità!
Ah, dimenticavo! Le buste degli acquisti? Ovviamente le porterà lui: “Sono troppo stanca, amore!”.
Arriva ogni mese, o almeno così sperano le donne che, di avere una gravidanza, non se lo sognano minimamente, se non nei loro peggiori incubi (che poi quelli degli uomini sono di gran lunga peggiori!). Lo sappiamo. Lo aspettiamo. Ma come un fulmine a ciel sereno ci coglie sempre impreparate. Un tripudio di sintomi, la lacrima facile, l’incazzatura pure. “Non è colpa nostra, è colpa della tempesta ormonale”, si difendono alcune.
E quale occasione migliore di lamentarsi di tutto e di tutti se non i fatidici 5 giorni (più o meno) del mese? Peccato che per molte donne, davvero, il “problema” non siano quei 5 giorni, ma insieme a loro, i restanti dell’intero mese, il che equivale a dire quasi tutti i giorni dell’anno. Ci sono l’ovulazione, la sindrome pre-mestruale, le mestruazioni e poi la fase post-mestruale (“sono stata troppo male questo mese, devo assolutamente riprendermi in questi giorni, mi sento fiacca!).
Uomini, davvero, avete la mia più totale comprensione, il mio sostegno indiscusso. In “quei” giorni possiamo diventare veramente insopportabili, moleste, addirittura: ci sono l’acida, l’isterica, la depressa, la cioccolata-dipendente e chi più ne ha, più ne metta. E poi c’è lei. La peggiore di tutte. Quella che pensa di avere una malattia mortale: non esce, trascorre la giornata a letto, quasi non mangia, non si lava (perché alcune donne credono ancora di non poter fare la doccia o lo shampoo, vi giuro!) e, specie d’inverno, è sommersa da Kg di lana o di pile e non scoprirebbe mai un solo cm del suo corpo; insomma, è morta e non lo sa. Il suo compagno è la vittima designata a subire ogni santissimo mese lo stesso copione e, per giunta, deve simulare una certa sorpresa, perché non gli sia detto che è un insensibile ed un maschilista.
Forza e coraggio, ragazzi, in fondo 5 giorni passano presto (quando sono solo 5!)!
L’attesa ad un appuntamento è uno dei capitoli più tragici della relazione uomo-donna, soprattutto nella fase di fidanzamento, quella in cui è lui ad andare a prendere lei per uscire insieme. Qui, lo ammetto, cado di brutto. Sarei curiosa di sapere negli anni il totale dei minuti(?)di ritardo che ho fatto….potrebbe trattarsi di giorni, ahimè! Non so se esistano donne puntuali con i loro uomini, ma per me, ritardo e donna vanno a braccetto.
In piedi sotto il portone, seduti in auto ad ascoltare la musica o a messaggiare (neanche la gelosia ha potere su di noi), appoggiati allo scooter, se ne stanno pazientemente e puntualmente (loro!) ad attenderci e guai se al nostro arrivo tentano di lamentarsi. “Volevo solo essere bella per te! Neanche questo apprezzi, potresti farmi un complimento di tanto in tanto”. Cosa rispondere a questo punto? Nulla! Incassare e silenzio!
E guai se nell’attesa ci chiamano più volte. “Ti ho detto che faccio 5 minuti di ritardo, perché continui a chiamarmi ogni quarto d’ora? Mi fai solo fare ancora più tardi e non so se ti conviene. Aspettami, che faccio subito!”.
Una tortura che si ripete uguale a se stessa, 10, 100, 1000 volte; inizio a pensare che esista un gene del ritardo e che lo ereditino solo le donne. Non mi resta che fare “mea culpa” pubblicamente a nome mio e dell’intero genere femminile.
Almeno, impegniamoci affinché il risultato valga l’attesa, soprattutto quando l’uomo rischia il congelamento acuto.
“Amore è che tu sei forte, io non riesco a portare tutto da sola e ho già la borsa e il beauty case!”. Peccato che lui debba portare la sua valigia e quella (magari fosse soltanto una!) della sua compagna.
La scena si ripete ad ogni viaggio. Lui che porta con sé l’indispensabile o poco più e lei che svuota letteralmente l’armadio, la scarpiera, il bagno di casa, una sorta di trasloco insomma. Affaticato e sudato, lui, per amore di lei, mette a dura prova la sua massa muscolare, solo perché a lei possa non mancare nulla per essere “perfetta” in ogni circostanza, in campeggio, sulla spiaggia, in città. Peccato che poi, la lei in questione, usi solo un terzo di ciò che ha infilato nei suoi bagagli fino a farli scoppiare.
Ma si sa, deve poter scegliere l’outfit più adeguato e non è che sia questione da poco. E non sia mai detto di indossare due volte lo stesso....le foto, poi, vengono tutte uguali! I selfie, pardon!
Se non è amore questo?!
Le donne “proibizioniste” sono tipicamente quelle fidanzate/sposate con i cosiddetti uomini “zerbino”, quelli che sarebbero disposti a sopportare tutto, ma proprio tutto, per non perdere la loro dolce (?) metà. Quindi, in questo caso, le colpe sono da dividere al 50%.
Serate con gli amici e partite di calcio sono del tutto bandite. Raramente può essere fatto uno strappo per qualche ora trascorsa a giocare alla playstation o per inviare la formazione del fantacalcio, non senza l’accusa di essere infantile.
Qualsiasi attività che non sia il lavoro, che lo tenga lontano da lei, non è ammessa, nel modo più categorico. “Quel poco tempo che abbiamo a disposizione lo DOBBIAMO trascorrere insieme, altrimenti il nostro rapporto non ha più senso”. Catastrofe, cataclisma. E lui rinuncia a qualsiasi spazio di libertà pur di non mettere in crisi il rapporto, sperando in cuor proprio di avere per sempre la stessa pazienza.
Ma se c’è una cosa che molte donne proprio non tollerano, costringendo gli uomini ad un perenne autocontrollo, al quale volentieri si vorrebbero sottrarre almeno in qualche momento (giusto per ricordare i bei tempi selvaggi dell’adolescenza) sono quelle, chiamiamole così, piccole libertà del tutto maschili. Non scendo nei particolari, confido nella vostra fervida immaginazione. E allora ergo a “mito assoluto” il caro, vecchio, ragioniere Fantozzi e il suo grido di combattimento, espressione più alta del libero arbitrio maschile in ambiente domestico e soprattutto in occasione di una partita importante: “calze, mutande, vestaglione di flanella, tavolinetto di fronte al televisore, frittatona di cipolle, familiare di Peroni gelata, tifo indiavolato, rutto libero”.
A presto con le prossime 5 torture!
Ricorre oggi la giornata internazionale della donna, un’occasione per celebrare la forza della femminilità, in ricordo di un importante evento storico.
La festa della donna fu istituita per la prima volta nel 1909 negli Stati Uniti, diffondendosi successivamente in Italia nel 1922.
Numerose sono le interpretazioni che spiegano la nascita, l’importanza e la motivazione di questa festività, che inducono a riflettere sul ruolo della donna nella società.
Rispetto a quanto si crede, l’origine della festa secondo alcune fonti storiche, non sarebbe da ricercare nella tragedia sul lavoro che coinvolse un centinaio di operaie, morte nel rogo di una fabbrica di cotone negli Stati Uniti. Alcune ricerche attribuiscono l’8 marzo al ricordo di una strage di attiviste politiche russe.
La festa fu infatti istituita dal partito comunista in Russia l’8 marzo del 1917. Essa è legata alla richiesta di suffragio universale femminile, seguita da lotte politiche e sindacali. Da quel momento in poi, la festa delle donne viene celebrata nel mondo in date diverse. È poi il Consiglio delle Nazioni Unite, il 16 dicembre 1977, a stabilire l’8 marzo come data mondiale per celebrare la donna.
In Italia per la prima volta, la donna viene festeggiata il 13 marzo del 1922. Ci vorranno poi anni perché l’appuntamento dell’8 marzo diventi fisso anche nel nostro Paese.
La festa della donna è dunque carica di significati simbolici. Se prima si lottava infatti per il diritto lavorativo e l’uguaglianza delle donne in ambito politico, oggi il gentil sesso deve fare i conti con la lotta alla vita. Le donne sono sempre più vittime di violenza domestica e femminicidi. L’ Italia dà per questo all’8 Marzo un importante valore. Si ricorda inoltre oggi il contributo apportato dalle donne al progresso e all’emancipazione sociale.
Anche la città di Napoli è sensibile a questi temi. Il consueto appuntamento con Marzo Donna, organizzato dal Comune di Napoli, cerca infatti di diffondere i valori e la cultura femminile, attraverso dibattiti e workshop. Ogni città italiana festeggia a suo modo la donna. Perfino la stampa rivolge attenzione al mondo femminile. Il Corriere della Sera ha chiesto ai suoi lettori di inviare un messaggio alla redazione con l’hastag #ringraziounadonna, per lasciare in questo modo, il proprio ringraziamento ad una donna speciale.
Le donne sono semplicemente il motore della vita e il senso del futuro. Nella giornata dell’8 marzo si ricorda la loro capacità di opposizione all’ignoranza sociale, per affermare il proprio stato di diritto. Ora più che mai la data diventa da rammentare, per sottolineare la triste piaga della violenza di genere, che miete quotidianamente vittime femminili, proprio come 96 anni fa. Cambia dunque il contesto, ma non muta la storia.
Che le donne abbiano, allora, consapevolezza della propria natura, riflettendo, a partire da occasioni come quella odierna, sulla loro storia, in prospettiva di un domani più emancipato.
Era il lontano 1991, ma io lo ricordo come fosse ieri (anche perché avevo già 10 anni!). Jo Squillo e Sabrina Salerno facevano coppia a Sanremo, sfoggiavano un look glam-rock che oggi farebbe invidia a numerose celebs e cantavano la mitica “Siamo donne”. “Siamo donne, oltre le gambe c’è di più, siamo donne, un universo immenso e più”.
Banale, direte. Io non credo affatto. Queste parole, molto più che semplici, incastrate in un motivetto orecchiabile, (che all’epoca fu un vero e proprio tormentone) racchiudono in sé una piccola grande verità, che, in modo scanzonato, ha raggiunto centinaia di migliaia di donne. Una donna non è un paio di gambe. E non è nemmeno un paio di tette (rigorosamente dalla terza taglia in su), né un fondoschiena (sono consapevole che Kim Kardashian rimarrà delusa nell’apprendere questa notizia, chiedendosi probabilmente il perché della sua esistenza!), né tantomeno un corpo da mettere in bella mostra in una vetrina, su un cartellone pubblicitario, su una passerella, in un programma televisivo. God save the radio!
Quello della donna è un universo così immensamente straordinario che, nella maggior parte dei casi, agli uomini non resta che ammettere la loro irrimediabile incapacità di comprenderlo. Sconfitti, davanti alla nostra complessità, dopo averci dato delle isteriche, delle rompico…(bip!), delle eterne vittime della sindrome pre-mestruale, gettano le armi e addirittura (qualche volta) sono in grado di renderci felici, nonostante di noi, probabilmente, non ci capiscano quasi nulla.
Ma siamo proprio sicure che oggi noi donne siamo consapevoli di non essere solo un paio di gambe o, per dirla brutalmente, un pezzo di carne? Sì, d’accordo, siamo istruite, lavoriamo, facciamo carriera, occupiamo posti di responsabilità, addirittura qualche volta persino ruoli istituzionali e, contemporaneamente, riusciamo ad essere figlie amorevoli, fidanzate e mogli fedeli (?), mamme premurose. Allo stesso tempo, possiamo negare che per molti uomini e in tante diverse situazioni, siamo ancora considerate poco più che “oggetti”? Ci sono i casi limite, certo, quelli sicuramente più lontani dalla nostra realtà, quelli che raggelano il sangue solo a sentirne parlare: le condanne sommarie, con cui, ancora oggi, si uccidono donne nel modo più brutale possibile (vedi lapidazione), la mutilazione dei genitali, il turismo sessuale (ne sono vittime anche i maschi, va detto per onestà!). Ci sono poi piccole creature vendute al miglior offerente solo per la disgrazia di essere nate con due cromosomi X e bambine, o poco più, date in spose a uomini che potrebbero essere i loro nonni, donne attratte nei paesi “sviluppati” con l’inganno e costrette alla prostituzione e alla schiavitù del corpo e dell’anima. Corpi e nient’altro, merce, senza dignità. E sono solo alcuni dei più squallidi esempi. Esempi di vite umane, che valgono meno di zero agli occhi del mondo.
E noi, emancipate donne occidentali? Non cadiamo, pur senza accorgercene, anche noi in questa logica perversa quando, pur di fare carriera, ci prestiamo a concedere favori sessuali? Non facciamo finta che questa realtà non esista, sappiamo bene che è intorno a noi, anche se spesso fingiamo di ignorarla. E perché continuiamo ad accettare che, per alcune tipologie di lavoro, sia richiesta una bella presenza? Discriminazione. La lingua italiana è ricca di parole, usiamole! E perché siamo ancora così maledettamente sensibili al bombardamento di messaggi mediatici, che ci vogliono tutte stereotipate, “perfette” ed incredibilmente sexy, magari accanto a uomini che non sono altro che i diretti discendenti della scimmia? Perché, noi donne italiane, abbiamo accettato (e votato, ma è un’inezia!) di essere governate da un uomo che ha sempre ritenuto la donna nient’altro che un oggetto sessuale? Quanti uomini ci considerano solo come strumenti di piacere! Le battute continue e per lo più del tutto fuori luogo, gli sguardi ai raggi X di viscidi esemplari di sesso maschile mentre camminiamo per la strada con il nostro bagaglio di pensieri, con i nostri progetti, le nostre insicurezze, gli approcci da trogloditi che subiamo quando usciamo tra amiche, le proposte che riceviamo da uomini più o meno impegnati. Cerchiamo molto spesso, ahimè, relazioni sentimentali che nulla hanno a che vedere con l’amore, ci leghiamo morbosamente ad uomini che, con i loro atteggiamenti, ci svalutano, ci maltrattano, ci feriscono, ci offendono nella nostra dignità. E la tragedia vera e propria è che glielo lasciamo fare, dimenticando quanto ognuna di noi sia preziosa e meritevole di rispetto, prima che di amore.
Non sono forse, tutte queste, situazioni in cui la donna è “oggettivizzata” e sessualizzata?
Ci ho pensato su a lungo. Credo che in parte la questione dipenda da millenni di sottomissione (nonostante in alcuni periodi storici e presso alcune culture la donna abbia avuto un ruolo importante nella società), come se (e probabilmente è così) nel nostro patrimonio genetico sia impresso un marchio che ancora ci condanna, una sorta di ancestrale dote alla sopportazione, da cui, con grande fatica, stiamo provando ad affrancarci. Ma un secolo è davvero un tempo troppo limitato per raggiungere in toto questo risultato, nonostante i grandi passi fatti. Potrei citare centinaia di donne che, in tutti i campi, hanno fatto la differenza e hanno scritto indelebilmente un pezzo della storia, da Rita Levi Montalcini a Madame Curie, da Maria Montessori a Madre Teresa di Calcutta, da Coco Chanel a Frida Kahlo, passando per la giovanissima, premio Nobel, Malala.
E allora non è che ci dispiaccia ricevere le mimose l’8 marzo; personalmente gli estremismi non fanno parte del mio DNA e della mia visione della vita, ma la mimosa nel giorno della festa della donna, per me, ha lo stesso valore di una rosa, di una margherita o di un girasole negli altri 364 giorni dell’anno, che siano o meno giorni importanti sul calendario o nella propria vita. Nessuna donna (così come nessun essere umano, sia chiaro!) ha bisogno che ci sia qualcuno a ricordarle, in un unico giorno dell’anno, quanto sia importante, quanto valga la sua presenza nel mondo. Ogni donna, 365 giorni su 365, deve essere rispettata ed essere considerata pari all’uomo nella sua dignità, nel suo lavoro, nella sua identità, nella sua sessualità, nella sua libertà religiosa e politica, nella sua affettività. E questo è molto diverso dal voler essere considerate uguali all’uomo. Noi donne, al nostro essere donne, non rinunceremo mai.
A voi la scelta, ragazze. Prima opzione: una tristissima uscita tutta al femminile la sera dell’8 marzo (occasione ghiotta, è anche domenica!) che, per alcune, è l’unico, rarissimo momento di libertà che si concedono dalla simbiosi col partner e per altre, l’occasione di sfoggiare gli abiti più trash e gli atteggiamenti meno femminili che possano immaginarsi, esponendosi al pubblico ludibrio degli uomini. Seconda opzione: impegnarvi concretamente a vivere una vita all’altezza del vostro essere donne, pretendendo il rispetto SEMPRE.
Le donne di MGW hanno già deciso da tempo. Loro, con le amiche, escono tutte le settimane!
"E' stato motivo di grande orgoglio, una vera sfida. Ho cercato di rispettarla, non di imitarla."
Parla così la bella Puccini che ci ha davvero conviti con l'interpretazione della nostra Oriana. Odiata, amata, inevitabilmente stimata, la giornalista tutta italiana classe '29 non si può dire non abbia lasciato parlare di sè. Tutta integra nelle sue contraddizioni, la signora Fallaci diventa un caposaldo latente nell'animo di qualche donna. Forse nell'animo di quelle come lei. Non si tratta di condivisione di ideali, di incondizionata venerazione o passeggera imitazione, quando si fa amicizia con la Fallaci, si può restare talmente scottate dalla sua energia che a molte vien voglia di tirar fuori tutta la propria forza. Dimostrare al mondo "che in un corpo liscio e rotondo c'è un'intelligenza che chiede di essere ascoltata' : il suo obiettivo, la sua fede. Fede forse troppo filo-occidentale, forse troppo radicale, che quasi sfiora il razzismo nella sua aberrazione di qualunque forma di supremazia. "La libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere. " Eccome se lo rispetta questo dovere, rinuncia con egoismo alle bellezze della vita cercando nella verità l'unica espiazione di questo mondo corrotto. Denuncia la stupidità della guerra, senza avere paura di sparare a zero su entrambi i fronti, rinnega l'ignoranza in tutte le sue forme, esige il rispetto del sesso femminile e non ha paura di gridarlo guardando dritto negli occhi il maschio più abietto. Sbaglia. La Fallaci non è Madre Teresa, non è una santa scesa in terra per denunciarne le brutture. È una Donna che con lo smalto rosso e gli occhiali da sole va alla guerra per ambizione e voglia di conoscere...una che, tirata sù a pane e libri, non ha paura nemmeno di amare. Uno stile high class, un'intelligenza di chi ha saputo discernere il vero dalla menzogna, l'entusiasmo del primo passo sulla luna. Un cancro, il suo carattere, la sua corazza impermeabile che l'ha resa agli occhi di questa piccola 23enne una grande donna di cui si permette di parlare.
Mi permetto perché ora l' Oriana va di moda, fa moda dire "l'aveva detto la Fallaci che l' Islam ci avrebbe conquistati" , fa moda invidiare il coraggio greco, l'America de un piccolo passo per un uomo e uno grande per l'umanità, odiare le moschee. E tutto questo pregiudicare alimenta il razzismo, l'ignoranza, non aiuta nessuno se non i califfati, le banche e perché no i signori del petrolio.
Islam= terrorismo. America=ipocrisia. Grecia=coraggio. Non sta a me continuare la lunga lista di pregiudizi stilata da noi figli del fortunato Occidente, ma una cosa che mi hanno insegnato i libri della Fallaci, è che almeno la propria piccola battaglia, nella rottura degli schematismi razziali, vale la pena combatterla.
Ti saluto così, con una delle tue frasi più semplici e attuali che tocca un po' noi tutte occidentali ventenni di quest'epoca che, al posto dell'acido muriatico, ci deturpa con photoshop.
La bellezza non scomoda mai nella vita: fa perdonare perfino l'intelligenza.
Anche quest’anno, inesorabile, è giunta la festa di San Valentino, la festa iperglicemica per antonomasia. In concomitanza con il Festival di Sanremo, il Carnevale e l’uscita nelle sale di “50 Sfumature di Grigio”(ma dai, che trovata originale!). Che sia una congiunzione astrale sfavorevole alla salute mentale delle donne? O un tentativo di mogli e fidanzate, felici ed innamorate, di far fuori definitivamente le pericolosissime donne single che gravitano intorno ai loro uomini? Di certo, questo mese di febbraio ci mette a dura prova. Per fortuna abbiamo la prospettiva della primavera a rincuorarci. Altro particolare agghiacciante è che oggi, 14 febbraio, è sabato. Questo è davvero un grosso, ma grosso, problema. Che San Valentino cada nel weekend è tanto una benedizione per gli innamorati quanto una maledizione per i single, inutile far finta di non saperlo. Non c’è scampo, i ritmi frenetici della settimana lasciano il posto al relax(?) del weekend e c’è tutto il tempo di pensare, nel bene e nel male, alla festa degli innamorati. Veniamo, quindi, alle previsioni per la giornata: strade in tilt, cuori rossi in ogni dove, coppie che si sbaciucchiano ad ogni angolo, sfilza di selfie d’amore sui social network, menu di San Valentino in ogni ristorante, eventi dedicati agli innamorati. A questo proposito, avete la possibilità di scegliere, a seconda dei gusti e della “fase” che attraversa la coppia, tra una miriade di eventi, da una magnifica serata a guardare le stelle al telescopio ad una “romanticissima” visita guidata nelle Catacombe di San Gennaro (può tornare utile, non si sa mai)! Se poi preferite sancire il vostro amore attaccando un lucchetto da qualche parte in città, fatelo pure, ma la mia benedizione non l’avrete mai! E vogliamo parlare delle centinaia di vetrine minuziosamente allestite per l’occasione? Che siano un incentivo per gli innamorati a svuotare portafogli e strisciare carte di credito o un velato invito per i single a barricarsi in casa per tutta la giornata? E consentitemelo, ci sono due cose che proprio non sopporto. La prima, frivola: le donne che rifiutano i cioccolatini (che altre pagherebbero per avere!) perché sono a dieta. La seconda, drammatica: i regali di San Valentino fatti in duplice copia (come le fototessera!), una alla fidanzata/moglie, l’altra all’amante; ci vuole pietà, sono un genere di individui senza speranza. Ah, dimenticavo, la tristissima festa di San Faustino, festa dei single! Ma preferisco sorvolare, in certi casi è meglio l’indifferenza.
Come ogni ricorrenza che si rispetti, anche San Valentino ha i suoi sostenitori e i suoi detrattori. C’è chi sostiene che sia soltanto l’ennesima operazione commerciale (vedi, festa della mamma o della donna), per cui, per una questione di principio, non va festeggiata nel più assoluto dei modi: ne va della propria dignità e della propria coerenza e coscienza sociale! C’è chi invece pensa che sia una piacevole occasione per gli innamorati per trascorrere una giornata/serata diversa o per fare una sorpresa al proprio partner, soprattutto se di solito viene trascurato; uomini che trascurate le vostre compagne, non pensiate di cavarvela con un mazzo di fiori o un tubo di baci Perugina! Ci sono poi quelli che pensano che sia un modo per celebrare l’amore in tutte le sue forme, anche l’amore per gli animali e le piante; ma sì, mettiamoci anche i videogiochi e gli alieni! E c’è chi trova ridicolo che ci si ricordi dell’amore una sola volta all’anno, “perché l’amore è quello di tutti i giorni”, per cui trascorre la giornata nella più assoluta indifferenza: lasciarsi andare, qualche volta, no? Cosa penso io? Molto semplice. Che, come non è vero che a Natale siamo tutti più buoni, così, è altrettanto vero che a San Valentino non siamo tutti un po’ più innamorati. Il giorno di San Valentino non è “tutto rose e fiori”, non è l’idillio di una coppia, non è un tripudio di cioccolato e frasi d’amore, non è sotterrare i problemi (o le corna!) per apparire come due piccioncini felici come il primo giorno di fidanzamento. È un giorno reale, un giorno, come gli altri, di vita vera, in cui due innamorati, se vogliono, possono festeggiare il loro amore (ipoteticamente possono farlo anche gli altri 364 giorni dell’anno!) davanti al mondo o nella propria intimità, farsi gli auguri, scambiarsi un dono, ritrovarsi un po’ più vicini o sentirsi uniti come sempre. È un giorno per ricordarsi, e ce n’è tanto bisogno, di quanto l’amore possa rendere piena la nostra vita.
Ragazze fidanzate o sposate (ma rigorosamente innamorate!), a voi l’augurio che possiate trascorrere il più bel San Valentino, accanto all’uomo che avete scelto (accertatevi sempre che non l’abbia scelto a vostra insaputa qualcun’altra)! A voi, ragazze single (innamorate o meno!): non c’è motivo di deprimersi né torturarsi in questo giorno, in cui il mondo vi fa sentire “diverse”, amate voi stesse in primis (molte donne innamorate non sanno cosa significhi), è il regalo più straordinario che possiate farvi, per un uomo c’è sempre tempo. E se avete proprio perso le speranze, beh, provate con una preghiera a San Valentino. Ritentate, l’anno prossimo sarete più fortunate!
Ma…..siete sicuri di sapere cos’è l’amore? Lasciate che vi saluti con questo video!
Lo possiamo dire con assoluta certezza. Il rossetto sbavato è quanto di più antiestetico ed antisesso che esista. Nessuna vera amica permetterebbe di lasciar passare inosservato questo penoso dettaglio sulle nostre labbra. Ma come per ogni regola che si rispetti valgono le eccezioni. La prima è che, ad alterare il contorno, che abbiamo delineato con precisione chirurgica, ci pensi un bacio appassionato e ricordiamoci sempre che ad un uomo è permesso sbavare solo il nostro rossetto, ma mai sciogliere il nostro mascara (sono eventualmente ammesse solo lacrime di gioia)! La seconda, di certo non per importanza, è farlo noi stesse, di proposito, per una giusta, anzi nobile, causa: sensibilizzare tutte le donne sul tema della prevenzione del tumore del collo dell’utero. Recentemente, infatti, è partita una campagna sul web, contrassegnata dall’hashtag #Smearforsmear, che consiste nel condividere sui social network selfie, in cui il gentil sesso appare con il rossetto, di qualsivoglia colore, rigorosamente sbavato.
Smear, letteralmente “sbavatura” richiama direttamente allo Smear Test, più noto come Test di Papanicolau (PAP test), il test mediante cui è possibile diagnosticare l’infezione da Papilloma virus umano(HPV), che è il principale fattore di rischio (altri: fumo, obesità, familiarità) per lo sviluppo del cancro della cervice uterina. Eseguire il test è semplicissimo. In corso di visita ginecologica si effettua un rapido ed indolore prelievo di cellule, che verranno poi sottoposte ad un esame al microscopio per valutarne le caratteristiche (possibile spia di uno stadio pre-tumorale) e la presenza o meno dell’infezione. Si tratta di conoscenze che tutte le donne dovrebbero avere, così come per la prevenzione e la diagnosi precoce del tumore della mammella. Eppure, se il messaggio che eseguire un’ecografia del seno in età giovanile (e successivamente in età adulta una mammografia), passa, ormai e per fortuna, abbastanza chiaro, per la prevenzione del tumore della cervice uterina, le campagne informative presentano ancora difficoltà a raggiungere un vasto pubblico, con il risultato che si perde un’occasione troppo importante, quella di identificare precocemente quelle lesioni che hanno elevata probabilità di trasformarsi in un cancro. E ne devono essere informate soprattutto le giovanissime, che sappiamo essere tra le principali fruitrici dei social network (da qui l’importanza di campagne come questa), poiché sono proprio i comportamenti sessualmente scorretti in giovane età quelli che espongono maggiormente al rischio di sviluppare l’infezione: inizio dell’attività sessuale in giovanissima età, partner multipli, rapporti sessuali non protetti. Va chiarito che infezione, comunque, non è sinonimo di malattia e che non tutti i tipi di HPV sono coinvolti nello sviluppo del tumore. Nel 2015, in piena epidemia di cancro (perdonatemi la cruda verità) non è tollerabile che esistano ancora ragazze e giovani donne, che si preoccupano solo di evitare gravidanze indesiderate (ovviamente i bambini non si mettono al mondo per caso!) e non tengano in conto in primis della loro salute. Purtroppo una triste verità è che esistono trentenni che non hanno mai neppure fatto una visita ginecologica; per non parlare degli uomini, che di sottoporsi ad una visita andrologica non ci pensano minimamente, a meno che non abbiano problemi strettamente relativi alla sfera sessuale e anche in tal caso, spesso, li si deve costringere a cannonate! Doveroso ricordare che da alcuni anni è disponibile un vaccino per prevenire l’infezione da HPV e che il Ministero della Salute ha avviato una campagna di vaccinazione per tutte le ragazze al compimento del dodicesimo anno di età. Rispetto alla possibilità di vaccinarsi o meno, così come di avere informazioni più dettagliate, il nostro consiglio è comunque sempre di rivolgervi ad un/a ginecologo/a di fiducia, che è bene che ciascuna di noi abbia.
Noi di Pink Generation lanciamo un messaggio, a nostro avviso importante (ma lungi da noi la presunzione di sostituirsi a chi di dovere!): bisogna amare se stesse ed il proprio corpo e mettere in atto tutti i comportamenti più adeguati a prevenire malattie, soprattutto quelle per le quali sono oggi disponibili mezzi efficaci di prevenzione. Se la campagna #Smearforsmear ha beneficiato del nome e del bel volto di Georgia May Jagger, modella nonché figlia del frontman dei Rolling Stones, non vediamo perché non possa arricchirsi anche dei volti di noi donne di MYGENERATION (non so se mi spiego!), con la nostra semplicità, la voglia di “metterci la faccia” e soprattutto senza “duck-faces” (che, ahimè, vediamo anche in occasioni come queste, dove non c’è alcun bisogno di risultare provocanti!).
La nostra speranza è che il nostro metterci in gioco per questa causa, porti anche voi lettrici a fare altrettanto, per far si che un sempre maggiore numero di donne sia informato su questa importante malattia. Buon selfie sbavato a tutte!
“Tonalità delicatamente seducente, che ci attira per il suo calore avvolgente.” A cosa corrisponde questa definizione? Preciso che non si tratta dell’ennesimo quiz radiofonico mattutino e che un’eventuale risposta esatta non vi farà vincere alcun dizionario della lingua italiana. Infatti si tratta delle parole pronunciate dalla statunitense Leatrice Eiseman, direttore esecutivo del “Pantone Color Institute”. Cosa? Non avete mai sentito parlare di Pantone? Si tratta di un’azienda americana che, forte di uno slogan altamente evocativo, “The Color of Ideas”, è diventata, a partire dal 1962, anno della sua fondazione, il leader nel settore della grafica, grazie alla creazione di un sistema di identificazione (Pantone Matching System) e successiva catalogazione dei colori, oggi utilizzato anche nell’industria. Se i colori classificati erano “appena” 1144, nel 2007 ne sono stati aggiunti altri 2000. Abbiamo una certezza: esistono migliaia di colori tra cui poter scegliere, qualsiasi cosa si decida di fare, creare, disegnare. Non vi nascondo che questa scoperta mi ha leggermente destabilizzato. Sì, perché già solo davanti alla minacciosa schiera di nuances, impercettibilmente diverse, degli smalti Kiko, perdo la vista e la testa, fino a sentire vocine malefiche che mi dicono: “Prendi me, prendi me!”. E non vi dico la reazione che ho avuto nello store della M&M’s a Londra: non potevano esistere così tanti colori o meglio, coloranti! Se, a questo punto, vi starete chiedendo a quale colore corrisponda la definizione di cui sopra, è venuto il momento di darvi la risposta. Si tratta del colore Marsala. Fino a pochi mesi fa, nel mio immaginario, alla parola marsala, corrispondeva solo il noto liquore siciliano, che, nella versione all’uovo, ho visto sin da bambina mia madre utilizzare per preparare il Tiramisù. Poi Pantone ha eletto Marsala colore dell’anno 2015 e da quel momento tutto è cambiato: ho avuto la certezza che il marsala sia un colore! È dal 2000 che Pantone sceglie ogni anno, democraticamente per tutti noi, qual è il colore di tendenza. Date un’occhiata agli intraducibili “Radiant Orchid” e “Tangerine Tango”, colori Pantone rispettivamente del 2014 e del 2012 e al più noto color Smeraldo (“Emerald”) del 2013: li trovo stupendi!
Come potrebbe la scelta del colore dell’anno non riflettersi su abbigliamento, make up e bellezza? Non si sentano esclusi gli addetti ai lavori nel settore del Design Industriale e gli appassionati di Interior Design: le vostre case si trasformeranno in vere e proprie vigne! Ma intanto, noi, fashion victims del globo, uniamoci sotto lo slogan (da me appena inventato) “I want it Marsala!” per affrontare questi ultimi scampoli di acquisti low-cost e proiettarci allo shopping primaverile, senza dimenticare che Pantone ci offre anche una serie di spunti per abbinare correttamente il color Marsala, per realizzare outfit ad elevato potere glamour. E non si sentano esclusi gli uomini: Marsala è un colore perfetto anche per loro, caldo e seducente quanto basta. Qualcuna di voi nutre dubbi riguardo il colore dell’abito scelto da Beyoncè alla cerimonia degli MTV Video Music Awards?
Ma tutte le celebrities sono letteralmente impazzite per il colore del 2015. Qualche esempio?
E vogliamo parlare degli accessori, i migliori amici delle donne? Un tripudio di scarpe e borse che deliziano la vista!
Il make up di certo non può restare a guardare! Sephora, in collaborazione con Pantone, ha realizzato una palette di ombretti celebrativa del color Marsala e di tutte le nuances che meglio si sposano con esso, per realizzare uno sguardo seducente. E poi, smalti, brush, rossetti, tutti, rigorosamente marsala, con un’ampia scelta di marche, prezzi e nuances.
Ma consentitemi una riflessione finale, seria. Sentitevi libere di detestarlo questo color Marsala se proprio non vi piace o non si addice al vostro incarnato. Siate sempre libere di scegliere al di là degli schemi imposti dal fashion business. La moda deve essere un gioco, non l’ennesima schiavitù dei nostri tempi. Ma sono sicura che le lettrici di MYGENERATIONWEB questo lo sanno fin troppo bene!
#BringBackourgirls: chi di noi non ricorda la campagna mondiale, lanciata in rete lo scorso aprile, per chiedere la liberazione delle circa 200 studentesse nigeriane rapite dai miliziani di Boko Haram.
Ci fu proprio una mobilitazione mondiale: tutto il web si 'batteva' per quelle duecento sconosciute rapite da chissàchi per chissàquale ragione. Un po' come adesso siamo tutti Charlie...che forse, concedetemi la malizia, fa anche più 'Europa' rispetto a quei 'poveri Africani' che subiscono attentati da migliaia di vittime ogni giorno. È proprio così, e se volete averne un'idea più precisa gli articoli di Medici Senza Frontiere descrivono, senza troppi occidentali giri di parole come vanno le cose laggiù.
Ma senza voler fare retorica sull'inferno che questo mondo ha raggiunto con uomini che sfruttano l'innocenza di una bimba per far saltare in aria un intero villaggio, la nostra domanda è: che fine hanno fatto le 'nostre girls'? Dal 2009 Boko Haram ha rapito più di 500 ragazze e troppi adolescenti per renderli rispettivamente islamiche mogli e forti combattenti, ma la verità è che i rapimenti, come ogni crudeltà, si nascondono dietro il nome del dio interesse che, con la pacifica maschera di Gesù, Abramo o Allah, ha guidato il mondo nell'abisso più profondo.
L'intero continente Africano è allo sbaraglio, l'Oriente è ormai completamente spaccato tra terrorismo, miseria e irrefrenabile ricchezza e l'Occidente sta a guardare...muove un dito. Ma alzare ipocritamente un dito si sa, non serve a niente finché il grasso corpo non decide di alzarsi nella sua interezza per porgere la mano all'amico che è caduto, magari dopo avergli fatto lo sgambetto.
Insomma retorica e metafore a parte, le famose girls non sono più tornate a casa...colpa del governo nigeriano, colpa dell'estremismo islamico, colpa dei ricchi che speculano sui poveri, colpa di ognuno di noi che se vede una ragazza Africana chiedere l'elemosina o prostituirsi pensa " tornasse a casa sua " .