Dopo aver ottenuto l’approvazione dalle autorità di regolamentazione statunitensi, Elon Musk ha comunicato che Neuralink, una delle sue startup, ha impiantato il primo chip all’interno del cervello di un essere umano. Il dispositivo prende il nome di Telepathy e viene inserito nel cervello umano tramite un’operazione chirurgica abbastanza invasiva. Attualmente, è ancora sconosciuta l’identità della persona che ha ricevuto questo impianto ma Elon Musk ha annunciato che il paziente è in ripresa post-operatoria e che i risultati iniziali mostrano un promettente rilevamento di picchi neuronali.
Il dispositivo ideato promette di rilevare, tramite dei sensori, i segnali cerebrali e di inviarli a un’interfaccia che li rielabora consentendo alla persona di utilizzare un computer attraverso il proprio pensiero. L’impianto è formato da 5 elementi: una capsula esterna realizzata in materiale biocompatibile, una batteria ricaricabile, i microchip che traducono i segnali cerebrali e li trasmettono ai dispositivi ed infine 24 fili dotati di 1024 elettrodi che vengono collegati al cervello grazie ad un robot in grado di agire con estrema precisione. Il chip, dunque, viene posto nella zona del cervello che si occupa del movimento e dovrebbe riuscire a trasformare l’attività neurale in segnali, in modo da farci usare il computer o lo smartphone e, attraverso questi, qualsiasi strumento, senza muoverci ma solo pensando di muoverci.
Ovviamente, è giusto sottolineare che questo impianto non è nato improvvisamente. Negli scorsi anni Neuralink aveva già fatto diversi test sugli animali, soprattutto sulle scimmie, e lo scorso maggio era stata autorizzata dall’agenzia statunitense che si occupa di farmaci e dispositivi medici una prima sperimentazione anche sull’uomo. Neuralink, però, non è la prima azienda che si occupa di questo; già da decenni altre aziende stanno studiando impianti per il cervello molto simili a Telepaty.
In ogni caso, Neurolink ha l’ambizione di migliorare le abilità umane e allo stesso tempo intervenire positivamente su disturbi neurologici come il Parkinson o la SLA. Questo chip, infatti, ha come obiettivo primario quello di fungere da dispositivo medico che aiuti le persone che hanno problematiche motorie. Le posizioni su questo tema sono contrastanti. Fino ad ora, per malattie neurologiche come quelle citate, non ci sono cure ma solo farmaci che cercano di tenere sotto controllo il decorso inevitabile della malattia dunque questo chip, se usato correttamente, potrebbe essere molto utile. Alcuni, infatti, credono che l’impiego di questa tecnologia in campo medico possa avere dei risvolti straordinari e ne individuano il vero potenziale. Chiaramente, c’è chi invece è spaventato da una tecnologia di questo genere e dal suo possibile utilizzo in altri ambiti. Un’integrazione tra uomo e macchina così potente da entrare nel nostro cervello forse è la cosa che intimorisce maggiormente anche se, molti dispositivi medici che usiamo, sono già tecnologie esterne che ci vengono impiantate e che ci permettono di vivere meglio o di sopravvivere. L’idea di un microchip nella testa, però, è molto invasiva e in effetti sono tantissimi gli aspetti etici in gioco. Chi avrà accesso a questa tecnologia? Come saranno garantite la privacy, la sicurezza, il consenso e l’autonomia dei singoli utenti? Le domande sono tante ma sicuramente prima di ogni altra cosa va testata la sicurezza di questi dispositivi.
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