Nel 1990 per tutta la durata di un viaggio in camper in Sicilia ebbi la compagnia, assieme a tutta la mia famiglia, di una piccola musicassetta che continuamente mandava in loop i primi due album di Pino Daniele.
Quella musica così particolare, che miscelava sapientemente echi napoletani a quelli d’oltreoceano, mi affascinò così tanto che da allora ho sempre ascoltato con piacere quel tipo di sonorità nera andando a ripescare addirittura i pionieri del blues come Big Bill Broonzy e Muddy Waters.
Con la fantasia mi rivedo in quel camper e mi accorgo di aver sempre lo stesso entusiasmo per un genere che se all’epoca mi piaceva solo musicalmente, oggi riesco anche ad apprezzarne le sfumature cariche di rabbia, figlie di delusioni e di voglia di libertà.
E poiché le vie del Signore sono finite ho avuto l’occasione di intervistare il talent scout del bluesman napoletano, Pino Daniele, nonché produttore dell’album “Terra mia”, che con cordialità si è messo a disposizione di un’umile penna di un piccolo giornale online.
Con piacere gli cediamo la parola:
•Buongiorno Dottor Poggi, è noto che lei ha fatto da trampolino di lancio a Pino Daniele, Pinotto, e lo ha affiancato durante le prime scelte artistiche. Per il pubblico di My Generation può parlarci del primo incontro tra lei e il bluesman napoletano?
All’epoca c’erano giornali di musica che avevano una larga diffusione. Si scriveva tantissimo.
Io ero un inviato del settimanale musicale Nuovo Sound e quindi andavo alla ricerca di nuove realtà musicali e quasi per caso mi trovai alla “Grotta” di Enzo Cervo (mitica sala prove alla Sanità N.d.R), il cantante del gruppo della Batracomiomachia in cui militava alla batteria Rosario Jermano, al basso Rino Zurzolo, al violino e chitarra classica Gianni Battelli, alle tastiere Paolo Raffone e alla chitarra Pino Daniele e qualche volta, a loro, si univa anche Enzo Avitabile con il suo sax. Restai abbastanza folgorato da questi musicisti perché presentavano un sound diverso dal solito con echi anglosassoni e comunque poco napoletani. Nel corso di una prova Pinotto mi disse «sai ho composto dei brani in napoletano, li vuoi ascoltare?»
Ci demmo appuntamento a Via Roma, nei presi di Piazza Carità, dove abitavo, e tra un caffè e una sigaretta, mi consegnò la famosa cassetta da cui sarebbe nata tutta la sua storia musicale.

•Leggo dalla sua biografia online che lei ha scritto un libro per la Minimum Fax, Terra mia, scritto con Daniele Sanzone. Logicamente il libro parla di Pino Daniele. Può dirci se è stato difficile, dal punto di vista sentimentale, descrivere ricordi che l’hanno riportato certamente a momenti felici?
Il libro l’ho scritto con il mio “fratellino” (che purtroppo nella vita reale non ho mai avuto) Daniele Sanzone perché oltre ad essere un giornalista, uno scrittore, è soprattutto un musicista, autore, innamorato folle di Pino Daniele.
Tra me e Daniele c’è una notevole differenza di età, ha ascoltato i miei racconti con passione invitandomi ad essere sempre più preciso.
È stato per me come uno psicologo, infatti, avevo tante remore nel tirare fuori certi argomenti, ma lui insisteva fortemente affinché spiegassi meglio cosa Pino Daniele avesse detto e fatto. Per cui ci sono stati momenti caldi in cui addirittura abbiamo sfiorato il litigio. Io avevo quasi voglia di dire “sono fatti miei”, invece lui giustamente è stato capace di tirarmi fuori un mucchio di aneddoti da cui è nata una testimonianza molto vera e sincera.
Non c’è nulla di falso in questo libro. Ho voluto raccontare le cose belle, ma anche quelle brutte che mi hanno dato dolore, così alla fine mi sono liberato e anzi ho messo a nudo degli episodi che magari non ricordavo bene, ma attraverso le chiacchierate con Daniele sono venuti fuori, dando un ottimo risultato al nostro lavoro, così come molti lettori hanno riconosciuto.
•A quale canzone di Pino Daniele è più legato?
Sono molto legato a un brano del primo album, Libertà, perché ha una doppia veste di interesse. Innanzitutto è una ballata dal sapore West Coast con una splendida chitarra elettrica finale in “prima” e in “terza” che si apre grazie ad una struggente melodia, dando un senso di liberazione.
Dal punto di vista del testo Libertà è un po’ quello che noi ragazzi dell’epoca cercavamo in tutte le nostre manifestazioni, con i versi “Chiove 'ncoppa a ‘sti palazze scure/‘Ncoppa ‘e mure fracete d’a casa mia” ci dà la dimensione non tanto della sua casa del centro storico, quanto quella del suo sentirsi compresso in una città che gli andava troppo stretta. Noi giovani volevamo andare fuori Napoli, scoprire l’Europa, posti che noi vedevamo e sentivamo solo attraverso la musica, ma difficilmente raggiungibili per gli alti costi. I viaggi all’epoca, specialmente in aereo, erano molto cari.
Quindi Libertà rappresenta la voglia di sottrarsi a costrizioni sia culturali che fisiche.
•Si dice che Pino Daniele fosse testardo e difficilmente tornava su suoi passi. Lei che chiave ha usato per andargli incontro?
Nessuna chiave. Eravamo due cari amici, amanti del blues, con gli stessi interessi, ma soprattutto ci accomunava l’entusiasmo di andare avanti e cercare di superare quel muro che ovviamente i ragazzi di quell’età hanno. Avevo la stessa età di Pino, ero un manager acquisito, certamente non come lo sono adesso perché non avevo conoscenze e non avevo esperienza, ma volevo condividere il suo percorso artistico.
La testardaggine di Pino in qualche modo la definisco positiva, perché grazie al suo modo di essere è andato contro un certo tipo di mentalità e anche a difficoltà discografiche che inizialmente si sono poste davanti.
Non dimentichiamo che il primo album (“Terra mia”) era tutto in napoletano e, nonostante contenesse novità sia nel linguaggio che nella musica, non era fruibile ad un pubblico di massa poco abituato a quel tipo di canzoni, tuttavia alla lunga ha avuto ragione. Per altri aspetti lui era uno abbastanza caparbio, nel senso che aveva le sue idee e difficilmente riusciva a cambiarle, testimonianza di ciò fu un nostro litigio a proposito di una pubblicità sul settimanale Sorrisi e Canzoni che lui non avrebbe mai accettato: raffigurava la copertina del disco che immerso in una tazzina di caffè con la didascalia “così dolce così amaro”. Per Pino era un messaggio falso e fuorviante, poco adatto al contenuto del suo disco ma per il target di pubblico del giornale era un buon veicolo di comunicazione.
•Parlando di talenti, c’è un artista con cui le piacerebbe lavorare?
Ce ne sono tanti, alcuni molto interessanti nell’area napoletana che stanno iniziando a farsi notare come Flo, Tommaso Primo o la Maschera. Tuttavia a me piacciono le sfide, per cui preferisco lavorare con quei giovani alle prime armi che hanno delle capacità e che cercano, in un panorama italiano molto difficile per gli emergenti, di uscire allo scoperto per farsi notare dal grosso pubblico.
Il loro entusiasmo e la voglia di farcela mi riporta agli esordi con Pino e oggi, con oltre 40 anni di esperienza, spero di poter fare qualcosa di più per loro.
In passato ho avuto la fortuna di lavorare con un grandissimo artista come Richie Havens, l’eroe di Woodstock, ma niente mi può ripagare di più di pubblicare il primo lavoro di un nuovo artista in cui credo.
•Dal suo punto di vista professionale che ne pensa del fatto che, da una generazione a un’altra, Napoli sia passata dalla fase in cui emergevano cantanti amati da tutti come Pino Daniele, Enzo Avitabile, James Senese, Edoardo Bennato, Tony Esposito a quelli neomelodici che molti amano, ma molti odiano?
Io penso che la musica si qualcosa che ti deve arrivare dentro, ti deve coinvolgere l’anima. Credo che oggi non ci sia, come accadeva nei ‘70, una netta distinzione tra i generi musicali. La musica rappresenta la colonna sonora della vita ed è facile trovare un amante del genere neomelodico che ami anche Pino Daniele. Ma non mi scandalizzo perché anch’io oggi ho una visione più eterogenea rispetto a una volta. Amo tutta la musica. Passo dall’ascolto di quella classica al jazz al rock, ai classici napoletani, ma quella neomelodica proprio no!
Del resto la musica è frutto dei tempi che viviamo e le nuove forme musicali come il rap, la trap etc. rappresentano gli usi e costumi dei giovani.
•Nella nostra rubrica mensile di My generation, parliamo di personaggio fondamentale nella storia della musica, abbiamo inserito anche il nome Phil Spector, e poiché lei è stato produttore discografico alla EMI, sarei curioso di sapere da lei chi è o è stato il Phil Spector italiano.
È difficilissimo rispondere perché un personaggio come Phil Spector è vissuto in un’epoca e con artisti che hanno cambiato completamente l’alfabeto musicale mondiale. Oggi, tra l’altro, è cambiato il ruolo e il significato del produttore discografico, che era considerato più un regista dell’artista e non un contabile o un investitore economico. Entravano nel vivo di scelte musicali e artistiche, oggi invece questa parte è demandata soprattutto al produttore artistico.
Ci sono stati in passato grande produttori come Alessandro Colombini che ha lavorato con artisti come Edoardo Bennato, Antonello Venditti e Roberto Dané con Dalla, Rettore, e altri personaggi che hanno determinato il successo di grandi artisti.
Oggi non saprei identificare qualcuno in Italia che possa ricoprire questo ruolo.
Ringraziamo Claudio Poggi per la sua cortesia, per la sua disponibilità, per le sue risposte esaustive e per averci permesso di prelevare, dal suo profilo Instagram, la foto della mitica cassetta su cui Pino Daniele registrò i primi demo.
Come foto iniziale si è deciso di scattare una foto alla copertina del 33 giri di Terra Mia in nostro possesso.