La Ford è in moto. Chi la guida corre per quelle larghe strade della Route 66, calcando l’asfalto in attesa di fermarsi quando intacca in qualcosa d’interessante, o in qualcosa di “normale” da rendere “straordinario”.
È il periodo della grande crisi, un momento buio per l’America. Le sue strade sono piene di povertà. La Nazione ha bisogno di raccontare; c’è necessità di mostrare, di vedere la realtà delle cose e Dorothea Lange, a bordo della sua auto, con al collo le sue macchine fotografiche, lo fa con uno sguardo curioso, determinato e a volte anche un po’ sfacciato.
Dorothea Lange nasce a Hoboken, nel New Jersey il 25 maggio del 1895 da genitori di origine tedesca, Heinrich Martin Nutzhorn e Joanna Lange.
Nel 1902 contrae la poliomielite che le rende claudicante, caratteristica che farà parte della sua vita non solo fisicamente, ma anche mentalmente, spingendola sempre a cercare ostacoli da superare, a vagare e a proseguire con determinazione.
Nel 1907 il padre abbandona moglie e figli, senza mai più tornare. Ciò segna profondamente Dorothea tanto da spingerla a cambiare il suo cognome con quello della madre, cancellando così la figura paterna dalla sua vita.
Da questo momento in poi, la madre Joanna, con i due figli si trasferisce nel Lower East Side di New York dopo aver trovato lavoro come bibliotecaria.
Dorothea è curiosa, osserva, guarda le persone attorno a lei e il fermento della città e un bel giorno decide di voler diventare fotografa. Tra il 1912 ed il 1913 lavora come assistente presso lo studio di Arnold Genthe, che le regalerà la sua prima macchina fotografica, e nel 1916 comincia la sua carriera da ritrattista, quando viene assunta in uno studio della Quinta strada come fotografa e tecnica di laboratorio.
Ma c’è qualche spinta dentro di lei che non riesce a tenere a bada. La giovane fotografa è un turbinio di curiosità, mossa dalla necessità di trovare sempre qualcosa di nuovo, ed è così che nel 1918 arriva a San Francisco dove trova lavoro in un negozio di forniture fotografiche. Quest’occupazione le permette di entrare con forza, ma senza arroganza, nelle vite di chi porta a sviluppare i propri rullini.
È proprio nell’intimità di queste persone che forse comincia a trovare ispirazione per quel linguaggio intimo e familiare che caratterizzerà le sue opere successive, quando la Lange percorrerà l’America, in un periodo che va dalla grande crisi del ’29 fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Nel 1919, a soli ventiquattro anni apre il suo studio fotografico sempre a San Francisco, specializzandosi in ritratti, grazie al finanziamento di un giovane e ricco fotoamatore che vede le sue foto e se ne innamora. Qui, nello stesso anno, conoscerà il suo primo marito, Maynard Dixon, di vent’anni più grande, con cui convola a nozze nel 1920 e da cui avrà due figli. Il matrimonio durerà fino all’inizio degli anni ’30.
Nel 1929 però la Grande depressione arriva prepotente: l’intero Paese ne è colpito e i livelli di povertà crescono a dismisura. La Lange comincia così a muovere la sua attenzione verso la strada e la realtà quotidiana delle persone che non godono di una vita agiata. A questo punto, il mondo attorno a lei entra con foga nella sua vita e non è facile farlo uscire e, probabilmente, non è neanche ciò che lei desidera. Abbandona così la sua carriera da ritrattista per raccontare la condizione delle vittime della Depressione.
I suoi lavori cominciano a conquistare i maggiori esponenti della fotografia contemporanea e non solo. Nel 1934 le sue foto arrivano a Paul S. Taylor, professore di Economia dell’università di Berkeley, che le chiede di poterle usare per una sua pubblicazione; la fotografa risponde entusiasta. Taylor è un riformatore, studioso della produzione agricola e quando nel 1934 riceve dallo Stato della California l’incarico di stilare un resoconto della crisi, lui fa in modo che la Lange vada con lui. Dopo sedici anni, Dorothea chiude lo studio e parte. Da qui comincia un sodalizio, non solo lavorativo, ma anche sentimentale che spingerà la Lange a chiedere il divorzio da Dixon nel 1935 per sposare Taylor.
La sua nuova vita si dirama così tra le strade dei mezzadri, fotografando l’America rurale, un mondo lontano da lei, in un modo intimo, ma a tratti anche snob (La Lange proveniva comunque da un contesto urbano e borghese). È proprio durante questi anni che realizza una delle sue opere più famose, ma non priva di controversie: il ritratto di Florence Thompson, Migrant Mother. Questa donna diventerà immagine iconografica della situazione americana di quegli anni, ma a suo scapito. Nel 1960, anni dopo il successo non voluto da parte del soggetto di quella foto, Lange decide di scrivere un articolo raccogliendo i dettagli di quella giornata oramai lontana: racconta che quella famiglia aveva dovuto vendere i propri pneumatici, mentre i bambini si nutrivano di verdure ormai marce e di uccellini uccisi a sassate. Ma le parole non sempre rispondono alla realtà. Quella donna, infatti, racconterà in seguito che lei e la sua famiglia erano semplicemente in viaggio e avevano fermato la loro auto lungo la strada a causa di un guasto al radiatore; il marito si era allontanato per farlo riparare, mentre lei era rimasta lì con i bambini. Inoltre, Florence, era di sangue cherokee e dunque un’indiana d’America, per cui per lo Stato e le classificazioni ufficiali, una “non bianca”.
Questo evento mostra come le foto si carichino di una forza incredibile, andando incontro al pericolo di essere fraintese: le immagini, così come le parole hanno un peso e devono essere usate con parsimonia. La Lange era consapevole di tale pericolo, per questo portava sempre con sé un taccuino su cui annotare i dettagli di quei momenti e le parole che avrebbe poi usato per descrivere le sue fotografie. Fu solo in quel caso, quando incontrò Florence, che si limitò a fotografare sei o sette foto, salutando e andando via, senza neanche chiedere il suo nome.
Nonostante questo intoppo, la carriera di Lange si riempie di riconoscimenti. La sua capacità e determinazione le permettono di essere la prima donna insignita della Guggenheim Fellowship, proseguendo sulla strada delle comunità rurali, che però abbandona per seguire l’esodo forzato dei cittadini giapponesi verso i centri di raccolta (sorte che non toccherà a tedeschi e italiani), in seguito all’attacco di Pearl Harbor.
Dal 1945 le sue condizioni di salute però peggiorano, la sua attività rallenta, ma non si ferma. Nel 1947 collabora alla fondazione dell’agenzia Magnum e nel 1952 fonda la rivista Aperture, insieme ad altri suoi colleghi, tra cui Ansel Adams e Barbara Morgan.
Nel 1954 si unisce allo staff di Life con cui collaborerà fino all’inizio del decennio successivo.
Dorothea Lange muore nel 1965, all’età di settant’anni in seguito ad un cancro alla trachea, poco prima dell’inagurazione della retrospettiva a lei dedicata al MOMA di New York, la prima interamente incentrata su una donna fotografa.
link alle immagini usate:
https://dorothealange.museumca.org/image/dorothea-lange-in-texas-on-the-plains/A67.137.34102.2/
https://dorothealange.museumca.org/image/migrant-mother-nipomo-california/A65.104.2/