"All art is quite useless".
Tutta l'arte è perfettamente inutile: non sono parole di chi scrive, per carità! A pronunciarle, anzi a scriverle fu Oscar Wilde, alla fine della prefazione di The Picture of Dorian Gray (1890), vero e proprio manifesto dell'estetismo inglese. Certo, sono passati più di 130 anni da allora, ma, a ben vedere la lezione del poeta irlandese è ancora valida: parafrasando A Defence of Poetry di Percy Bysshe Shelley, un altro gigante della letteratura in lingua inglese, una grande opera d'arte è come una fontana traboccante di saggezza, capace di parlare in maniera differente, ma egualmente potente a ogni epoca e generazione, come scopriremo.
Recentemente, l'artista vomerese Ruben D'Agostino, già noto per l'opera di riqualificazione Tetris Urbano in via Massimo Stanzione, ha sottoposto alla V Municipalità un progetto riguardante la parte alta dei gradini Cacciottoli che prevede la realizzazione di un murale del Joker danzante di Joaquin Phoenix nella celebre scena della scalinata. Il progetto, attualmente in esame, ha incontrato le opposizioni di alcuni rappresentanti delle istituzioni e di una parte dei cittadini, non del tutto a loro agio con l'idea che un criminale possa essere immortalato, e, in un certo qual modo, magnificato.
Tralasciando per un attimo l'assoluta bellezza della sequenza e il fatto che essa sia già entrata nella storia del cinema, l'idea che D'Agostino intenda glorificare o giustificare le azioni di Arthur Fleck sembra del tutto peregrina, come egli stesso ha affermato. D'altronde, basterebbe aver semplicemente prestato attenzione alla pellicola di Todd Phillips per comprendere come essa, lungi dall'essere una celebrazione, si configuri, piuttosto, come una drammatica discesa agli inferi. A proposito della scena in questione, il direttore della fotografia Lawrence Sher in un'intervista a Variety nel 2019 affermò come «the movie is a lot about dichotomies and about two sides of our own self. We are all good, and we all have the potential to be bad».
Se, a tutti i costi, siamo costretti a suggerire una chiave di lettura a ciò che nasce come semplice celebrazione della bellezza, che almeno sia quella della solidarietà: tendere la mano, mettersi nei panni dell'altro, comprendere coloro che soffrono. Questo perché la discesa di Arthur Fleck nell' "abisso Joker" non si sarebbe verificata in un mondo, magari non perfetto ma in cui la malattia mentale venisse vista per quello che è: malattia, appunto, e non stigma. Allo stesso modo, se ci sforzassimo di vedere il bicchiere pieno, useremmo il nostro potenziale per qualcosa di buono, ritornando alla dicotomia di cui parlava Sher, e – chissà! – anche attraverso l'arte, e le sue innumerevoli declinazioni, eviteremmo che tanti potenziali Arthur Fleck si trasformino in altrettanti Joker.
Tralasciando, infine, come altri iconici villains siano apparsi sui muri di mezzo mondo (da Hannibal Lecter a Alex DeLarge, da Norman Bates alla Malvagia Strega dell'Ovest senza che nessuno abbia interpretato tali opere come apologie del cannibalismo o della stregoneria), può rivelarsi produttivo chiudere il cerchio con Wilde, il quale sottolinea come i libri non siano morali o immorali, ma solo scritti bene o scritti male. Allo stesso modo, non sarebbe una cattiva idea giudicare l'opera di D'Agostino tenendo presente un unico, infallibile parametro.
La bellezza.