Tutti hanno familiarità col retrogaming.
Anzi, riformuliamo: tutti quelli che bazzicano in NerdZone hanno familiarità col retrogaming, ovvero con la passione per i videogiochi d'antan.
E con le serie TV? Esiste una specie di "retrowatching"?
Sicuramente esiste, ma magari ha un altro nome. O non ce l'ha proprio.
Beh, poco male, perché coniare neologismi va ben oltre i limiti di questo articolo, che si propone semplicemente di celebrare una serie TV che ieri, 12 marzo 2020, ha compiuto diciotto anni: The Shield.
Era infatti il 12 marzo del 2002 quando lo Strike Team, composto da Vic (Michael Chiklis), Shane (Walton Goggins), Lem (Kenny Johnson) e Ronnie (David Rees Snell) fece la sua comparsa nel fittizio distretto di polizia di Farmington, a Los Angeles, tra gang rivali, spaccio di droga e altre amene attività.
La serie, creata da Shawn Ryan, è stata un vero successo e ha visto, nel corso delle sue sette stagioni, la presenza di guest stars del calibro di Glenn Close e Forest Whitaker. Degna di nota anche l'apparizione di Kurt Sutter, nella doppia veste di attore e produttore; si tratta infatti dello stesso genio creativo di Sons of Anarchy, serie che ha molto in comune con The Shield, sia dal punto di vista diegetico (alcune delle gang ritornano) che da quello del cast (benché i medesimi attori interpretino personaggi diversi nei due show).
Tale scelta rispecchia il modo in cui Ryan gioca tra la realtà e la finzione, tra ciò che è e ciò che appare; cosa particolarmente evidente nel caso del protagonista Vic, che cammina su quella linea sottilissima che separa gli antieroi dai peggiore villains. Benché genuinamente preoccupato del benessere della comunità, non disdegna, assieme ai suoi degni compari, metodi tutt'altro che ortodossi (omicidio incluso), per far rispettare la legge, e, magari, guadagnarci qualcosa su.
La scrittura dello show è semplicemente perfetta, trascinando lo Strike Team sempre più in basso in un vortice di bugie e illegalità dal quale ogni tentativo di fuga porterà solo altri spargimenti di sangue. Il passaggio da antieoroe e villain è talmente lento e ben congegnato da sembrare quasi inevitabile, mettendo a durissima prova la simpatia dello spettatore (quella che Margrethe Bruun Vaage chiama "sympathetic allegiance", in The Antihero in American Television) verso Vic e i suoi.
In molti casi, quando si tessono narrazioni così intricate, il rischio di un pessimo finale è dietro l'angolo, e infatti nel corso degli anni abbiamo assistito a incomprensibili assurdità, montagne che partoriscono i proverbiali topolini e ogni altro genere di presa in giro per la nostra intelligenza. The Shield invece, e questo è un altro tratto che lo avvicina a Sons of Anarchy, ha consegnato un finale semplicemente perfetto, e che potrebbe – chissà – essere anche ripreso, un giorno.
Ma niente spoiler, per carità! Dopotutto, in tempi di quarantena, perché non dare a Vic e ai sui degni compari la possibilità di raccontare – ancora una volta – la loro storia?
O meglio, la loro versione della storia.
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