Capita alle volte di non riuscire a frenare il turbinio di informazioni che quotidianamente ci scaraventano addosso: alcuni si proteggono indossando le cuffiette ed alzando il volume, altri indossano a prima mattina la maschera dell’indifferenza e, di conseguenza, fingono di non accorgersi dell’ignoranza elevata a sistema. Infine, nascosti, ci sono tutti coloro che cercano di frenare la deriva del nostro paese, soffocato dai rumori dei femminicidi, dagli estenuanti episodi di violenza e disumanità e che, nonostante ciò, continuano a porsi domande e a cercare soluzioni.
Allora, chiedersi perché ormai nel nostro paese all’ordine del giorno accadono episodi razzisti è desueto, perché consolidato sulla nostra pelle. Analizzare perché questi fenomeni sono fomentati da chi dovrebbe stilare moniti giusti ed, al contrario, esplicita il suo impegno politico infangando storia e memoria e lanciando messaggi d’odio è doveroso.
Aprioristicamente, il razzismo non esiste, non è un lemma congenito nella natura umana, ma è un prodotto artificiale inscatolato che l’uomo ha scelto di costruire. Costruire, esatto perché è proprio così che è andata: sessismo, classismo, omofobia, discriminazione nei confronti dei tossicodipendenti, meridionali, immigrati cose, non come uomini.
Perché il vero uomo è solo quello occidentale, educato, pulito, insomma quello che non inquina l’ordine.
Ebbene, tutte le società creano stranieri e, a loro volta, li distruggono per corroborare l’ordine della nazione, dello Stato. Quello Stato che oggi impiega 5 minuti per screditare una persona, nella sua frenesia smodata di distruggere i rapporti sociali e di costruirsi un’”identità” che fungerà da direttiva costante, ed ormai quasi patetica, nelle attività istituzionali.
Il conio di questa identità fascista ha fatto sì che tutti coloro che celavano la loro indole e la loro voglia di repulsione nei confronti di chi è un prodotto difettoso, di scarto dello zelo ordinatore dello stato, si senta finalmente rappresentato dal sistema. E così, l’odio si è riversato nelle strade, nei confronti di qualsiasi soggetto senza collocazione, con tratti somatici diversi: dagli occhi, all’odore della pelle. Odio verso le donne, come verso gli stranieri, l’importante è individuare qualcuno di più debole da prendere di mira sui social o da schernire con commenti da bar. È fuoriuscito tramite il linguaggio comune che adesso normalizza l’orrore, rendendolo così banale tanto da diventare paradigma di propaganda.
Il linguaggio di rappresentanza di una parte della politica, quindi, palesa sintomi congeniti di antidemocrazia e cavalca gli umori della popolazione per avere consensi.
Questo atteggiamento rende tutto lecito, anche ciò che non dovrebbe esserlo e conia il nuovo status in cui viviamo: l’indifferenza al disagio della postmodernità. La nostra generazione sta vivendo nella profonda convinzione di poter sapere tutto senza, però, conoscere davvero e, al contempo, credendo che tutto ciò che accade al di fuori del proprio giardino non la tocchi, non la riguardi ed è proprio questo modus vivendi a dar man forte all’orrore dilagante.
È più comodo volgere il pensiero ad Achille Lauro sul palco dell’Ariston, ai suoi presunti atti osceni in tv, contro l’ordine, gli schemi, contro il pudore, contro il lessema maschio. È comodo perché è l’argomento del giorno e dicendo la nostra, dunque, possiamo tirare un sospiro di sollievo e sentirci facenti parte dell’ordinamento. Ora si può spegnere la luce, infilarsi sotto il piumone di flanella e si può andare avanti. Ma non è così, così si torna indietro e non si costruisce una coscienza collettiva forte, attenta e solidale. Quella coscienza, presupposto imprescindibile per sostenere uno Stato di diritto e per creare un vero collante generazionale.
Pertanto, capire è impossibile, conoscere è necessario. Conoscere oggigiorno è l’unica arma per superare le atrocità che ci rendono imbelli di fronti ai drammi quotidiani.
Conoscere senza puntare il dito, ma cercare di tessere i connettivi del nostro paese per arrivare a capire il motivo del suo marciume ed il dilagare imperante di una impronta fascista che per anni è stata sottaciuta.