«L’amore è un contenitore dentro cui ficchiamo tutto». Ci mettiamo la gioia, certo, la passione, il traporto, l’emozione; ma non risparmiamo le notti in bianco, i rancori, le liti feroci e quel senso di vuoto che prevale quando la storia è ormai ai suoi ultimi sfilacci.
Lacci (Einaudi 2014) di Domenico Starnone – da cui l’omonima pièce con Silvio Orlando - nasce dall’esigenza di raccontare gli ultimi respiri rantolosi di una storia d’amore malata e troppo avanti con gli anni. Il romanzo è un racconto a più voci: c’è quella capricciosa e venata di disprezzo di Vanda molti anni fa, e quella rassegnata, dai toni pacifici e malinconici di suo marito, molti anni dopo. Le storie d’amore procedono su binari non ben assestati, spesso deragliano e rischiano di finire fuori strada, a volte vanno avanti ma perdono qualcosa per strada: qualche bagaglio vola fuori dal finestrino, eppure il carico non diventa più leggero.
Starnone cambia notevolmente tono e ritmo rispetto al romanzo con cui si aggiudicò lo Strega nel 2001, Via Gemito. C’è una differenza sostanziale: prima di forma – Lacci conta 133 pagine, contro le 389 di Via Gemito -, poi di contenuto. I toni sono più svelti, accesi, incalzanti. Insomma, un autore da riscoprire con un romanzo nuovo e pluritonale. Uno Starnone intenso e ricco di attese.
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