Diciamolo: a volte siamo troppo esterofili.
Il che non è necessariamente un male, poiché nell'ambito delle serie TV la parte del leone la fa sicuramente l'America, tuttavia questa ipermetropia può farci trascurare taluni prodotti il cui unico problema è quello di essere Made in Italy. Che poi è ciò accade anche nel calcio; quante volte abbiamo sentito frasi del tipo:«Tizio è forte, ma se si chiamasse Tiziovic giocherebbe nella Juve/Inter/Milan!»
Certo, ci sono eccezioni come Gomorra o Romanzo Criminale, veri e propri "profeti in patria", ma al di là di questi giganti c'è una pletora di prodotti di ottima fattura che passano un po' inosservati.
La Linea Verticale, trasmessa su Rai3 e disponibile su RaiPlay è uno di essi.
Tratta da un romanzo di Mattia Torre, la serie narra di Luigi, interpretato da Valerio Mastandrea, un uomo a cui viene diagnosticato il cancro. Il tema della malattia viene sì affrontato in maniera ironica (alcune scene ricordano molto da vicino Scrubs), ma l'aspetto "drama" è tutt'altro che in secondo piano: il ritmo della narrazione è infatti scandito da un'alternanza perfetta tra momenti leggeri e altri decisamente cupi. Semplificando al massimo: quando ci sta per scappare la lacrimuccia, giù una bella risata e, viceversa, se l'atmosfera è troppo leggera, una sottolineatura drammatica tutta archi e/o piano ci rammenta che, dopotutto, sempre di malattia parliamo.
Una simile struttura contrappuntistica si riscontra anche nel realismo: taluni momenti e situazioni della vita in ospedale sono restituiti in maniera talmente efficace da far risuonare più di un campanello in chi l'ha vissuta. Dal lato opposto, iperboli o momenti surreali, come la Morte con la falce che accompagna l'oncologo, contribuiscono a diluire questa sensazione.
Tra solitudine, vessazioni, incompetenza/arroganza dei medici (dei quali curiosamente si conosce solo il cognome, mentre pazienti e infermieri vengono chiamati col nome di battesimo) e quant'altro, c'è spazio anche per lo spirito di cameratismo e per la sincerità dei rapporti che si vengono a creare in situazioni così difficili e che rendono l'ospedale/prigione un luogo più umano e meno spersonalizzante. Forse per questo motivo, Amed (Babak Karimi) pare sviluppare una sorta di sindrome di Stoccolma e una volta dimesso, non vuole più uscire.
La Linea Verticale tocca estremi apparentemente inconciliabili, eppure riesce a riconciliare e ad armonizzare tali opposizioni, suggerendo un modo di rapportarsi alla vita e alle sue prove più dure con sguardo diverso, facendoci apprezzare ciò che, alla fine del giorno, davvero vale. Con le parole di Luigi:«Questo tumore mi ha salvato la vita. Senza questo tumore sarei senz'altro morto.»
Link alle immagini originali: https://www.spettacolandotv.it/wp-content/uploads/2018/01/la-linea-verticale-660x330.jpg
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