Nel 2011, sulle instabili fondamenta di una città dalle sproporzionate ambizioni di riscatto, Elena Ferrante diede alla luce il primo volume di un saga destinata al successo planetario: L’amica geniale.
Nelle intenzioni dell’autrice, il progetto avrebbe dovuto consistere in un lungo racconto da pubblicare in libro unico, ma la storia sembrò venir fuori da sola e finì per riempire ben quattro volumi: dopo L’amica geniale, furono pubblicati Storia del nuovo cognome (2012), Storia di chi fugge e di chi resta (2013) e Storia della bambina perduta (2014).
I quattro episodi - tutti editi da Edizioni e/o - hanno ormai conquistato gli scaffali delle librerie di tutto il mondo e dopo sei anni dalla pubblicazione del primo volume, HBO e Rai ne hanno acquistato i diritti per trarne una serie TV diretta da Saverio Costanzo, che andrà in onda nel 2018.
La vicenda de L’amica geniale inizia negli anni cinquanta e racconta l’amicizia tra due bambine, poi donne, Raffaella ed Elena. Nel racconto, la voce narrante è quella di Elena – Lenù, per amici e parenti – una bambina cresciuta nel Rione Luzzatti, che racconta la sua vita attraverso un perenne e faticoso confronto con Raffaella – per lei, solo per lei, Lila -. Intorno alla narrazione di Elena, Napoli e i suoi abitanti si muovono come un terzo protagonista, arrogante e violento. Negli stessi anni in cui Lila ed Elena crescono, capiscono, invecchiano, anche Napoli s’ingrigisce, si spacca, ricomincia, si arresta, si assopisce e di nuovo riprende il suo ciclo di frenesie e paturnie.
Lo sguardo della scrittrice si muove su Napoli svelando un sentimento ambivalente, tra la malinconia e il rifiuto. Lenù, nonostante gli sporadici ma convinti tentativi di farcela, non è mai riuscita ad avere la forza, non solo di provare a cambiare la città, ma neanche di accettarla così com’è.
In una delle pagine più toccanti della tetralogia, Lenù saluta Napoli regalandoci uno dei ritratti più veri di questa città così difficile da amare:
“Sono andata via da Napoli definitivamente nel 1995, quando tutti dicevano che la città stava risorgendo. Ma ormai l’avvento della nuova stazione ferroviaria, il fiacco svettare del grattacielo di via Novara, i veleggianti edifici di Scampia, il proliferare di costruzioni altissime e splendenti sopra il pietrame grigio dell’Arenaccia, di via Taddeo da Sessa, di piazza Nazionale. Quegli edifici, […] sorti tra Ponticelli e Poggioreale con la solita lentezza guasta, subito, a velocità sostenuta, avevano perso ogni fulgore e si erano mutati in tane per disperati. Sicché quale resurrezione? Era solo cipria della modernità spruzzata a casaccio, e in maniera sbruffona, sopra la faccia corrotta della città”.
Le aspettative dei lettori non possono che essere alte, ma lo schermo sarà realmente in grado di riprodurre questa “lentezza guasta”, questo ritratto appassionato e disilluso di Napoli? La megaproduzione italoamericana saprà ricreare l’efficacia e la lucidità della scrittura di Elena Ferrante? Manca poco per scoprirlo.