Ti lanci dal balcone, ti getti nel baratro, ti lasci cadere nello strapiombo e, invece di sfracellarti, di finire nella nera oscurità... rimani lì fermo nell'aria, in sospensione, a fissare la tua vita da una prospettiva impossibile e nuova, diversa da tutto quello che avevi immaginato.
Un salto nel vuoto, nel baratro deforme e sempre ignoto della guerra, un salto crudele, una corsa abbracciato alla vita, sospesa anch'essa. Francesco Cito per quarant'anni ci ha mostrato quel vuoto, oscuro, insensato, il vuoto della guerra.
The wide gaze, di G. Pappadà, racconta, attraverso una dettagliata selezione di fotografie, il rapporto ugualmente appassionato e scientifico tra il fotoreporter napoletano e lo scatto, sempre puntuale e coerente nella portata emotiva e narrativa, limpido nel racconto e geniale, quasi cinicamente narcisistico, nella meditazione artistica delle forme. Un racconto che si divide tra la Napoli delle origini, quella anticamente oscura e caravaggesca, e le distese nordafricane piagate dal morbo della guerra, in cui la speranza ricorda un'illusione. Pappadà, attraverso la testimonianza di chi nel tempo ha affiancato il fotoreporter napoletano, spiega il paradigma tra la sua vita e le origini, tra Napoli e la guerra. The wide gaze mostra le componenti di un'essenza comune, fatta di un dolore sovrannaturale, non per la sua intensità, ma per la sua origine surreale, indefinibile. Così Napoli e Gaza piangono attraverso gli stessi volti antichi, ridono della stessa malinconia, affinché alla tristezza sopravviva in entrambi i casi il coraggio.
Prima di essere passione titanica, genialità, Francesco Cito è coraggio, perché un giornalista morto... non serve.
Per la sezione documentari lo splendido The wide gaze è affiancato da Traduzioni, verso un'accademia di design rurale in alta Irpinia, di M. Citoni e L. Ottaviani, il racconto di un ambizioso e lungimirante progetto nato ad Aquilonia, un paesino nel cuore della dorsale appenninica meridionale, “terra di confine” tra Campania, Puglia e Basilicata. Confine, dunque, con i suoi piccoli drammi quotidiani e una graduale rinuncia alla propria identità, al proprio passato, rappresentato dalle rovine di Carbonara, località distrutta dal sisma del 1930 e mai più ricostruita.
Proprio da Carbonara, dalle origini, un gruppo di ragazzi riparte verso un nuovo orizzonte, una meta nuova rintracciata grazie alla scoperta e alla riformulazione del territorio: un workshop per designer che farà di Carbonara il centro pulsante dell'avanguardia del design di tutto il Meridione.
Lo studio puntuale delle origini parte dall'incontro con antiche tecniche costruttive, tradizionali figure professionali, contadini, fabbri, ceramisti, per captare il senso della tradizione e riformularlo, rendendo ancora viva l'identità di una terra conquistata e mutilata dalle grandi multinazionali italiane. Citoni e Ottaviani mettono a fuoco un aspetto fondamentale di una generazione vittima spesso di sterili accuse, ovvero un'intelligenza che sa essere ugualmente scientifica, lungimirante e creativa.