CasaPound ed ex opg "Je so' pazzo": interviste a confronto (CasaPound - prima parte)

Mercoledì, 16 Marzo 2016 10:33
  

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Nel cuore di Napoli, in Via Foria, si trova la sede regionale di CasaPound. Ammetto che, prima di pensare a questa intervista, non avevo idea che fosse qui, sono molto curiosa di vedere com'è organizzata e di conoscere le persone che risponderanno alle mie domande. Più mi avvicino alla meta e più i manifesti di CasaPound sui muri dei palazzi aumentano, così i murales, gli striscioni, i cartelli. Arrivo a destinazione, civico dopo civico, e mi trovo davanti il grande portone di un palazzo vecchio stile. Di fronte c'è una panchina piena zeppa di adesivi del movimento politico, segno che l'indirizzo è quello giusto.

Mi chiedo cosa fare, a questo punto: suono al citofono? Mi fa un certo effetto premere il campanello alla voce M.S.I.

Nessuna risposta, ma non ho il tempo di interrogarmi su questo silenzio, che subito arrivano, uno dopo l'altro, i componenti del gruppo che risponderà alle mie domande. Sono cinque persone, due uomini fra i trenta e i quarant'anni, due ragazzi di poco più giovani e una ragazza. Ci presentiamo, sono gentili, mi offrono un caffè (e il caffè è sempre bene accetto), poi aprono il portone, mi fanno strada nel cortile interno del palazzo e tirano su una saracinesca. Eccolo qui il quartier generale di CasaPound, due stanze piene zeppe di libri, poster, manifesti. Un po' umido, non c'è che dire, niente a che vedere con gli spazi dell'ex opg dove ho realizzato l'altra intervista, ma a poco a poco mi abituo all'ambiente. Certo, non mi è mai capitato di vedere tante raffigurazioni di Mussolini tutte insieme, c'è un quadro, una scultura, un poster, una citazione, un notevole numero di libri e così via. Nella camera più piccola, una sorta di ufficio e la postazione per mandare online "Radio bandiera nera", la radio di CasaPound.

Dopo aver fatto un giro veloce e aver dato un'occhiata in giro, ci accomodiamo su un divano di pelle nera nuovo fiammante, che fa bella mostra di sè lungo la parete più ampia della prima stanza. Anche in questo caso, cominciamo dal principio:

 

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Grazie per aver accettato di rispondere alle mie domande. Inevitabile premessa: ammetto che l'idea di realizzare questa intervista è nata in seguito agli scontri avvenuti il 29 gennaio, nei pressi del liceo Vittorini e della fermata della metropolitana di Rione Alto. Ci sono state voci contrastanti a riguardo, volete raccontarmi com'è andata quel giorno?

 

Innanzitutto, ci sembra ingiusto che l'attenzione mediatica si rivolga a noi solo quando avvengono questi episodi, mentre nessuno si interessa a quello che facciamo per il resto del tempo. Comunque, gli scontri del 29 gennaio fra noi e gli antagonisti sono nati da un banale litigio. Ci sono state solo parole grosse e qualche spintone fra un ragazzo del nostro gruppo impegnato in una normale attività di volantinaggio e un altro che si trovava lì, nei pressi del Vittorini. Niente di eclatante, insomma, ma più tardi, intorno all'ora di pranzo, un gruppo dei centri sociali è arrivato a Rione Alto e si è appostato sotto casa di un nostro associato. È illogico sostenere che tutto sia partito da noi: perché un ragazzo, da solo, avrebbe dovuto provocare uno scontro, peraltro sotto la propria abitazione? Non ha senso, la gente dovrebbe riflettere su questo. Comunque, è già successo in passato che la verità venisse capovolta, ci siamo abituati. Più di una volta, gruppi più numerosi di antagonisti hanno attaccato la nostra sede, a volte anche in nostra assenza! Lo scorso primo ottobre, ad esempio, siamo stati aggrediti da un gruppo dei centri sociali. Sono venuti qui, presso la nostra sede, e un commerciante che ha un negozio qui vicino è rimasto ferito da una bomba carta lanciata da loro. Dopo quanto accaduto, hanno detto che eravamo stati noi ad aggredirli, cosa che non ha nessun senso. Puntualmente, quando succedono queste cose, finiamo per leggere sui giornali che i colpevoli di tutto siamo noi, senza nessuna logica. Perché dovremmo aggredire dei gruppi più numerosi del nostro, vicino la nostra sede? D'altra parte, pensiamo sia lecito, per noi, almeno difenderci!

 

Quando parlate di "antagonisti", vi riferite agli attivisti dei centri sociali, perché li chiamate così?

 

Li chiamiamo così perché sono molto legati a questa guerra contro di noi, a questa storia dell'antifascismo. Organizzano manifestazioni, cortei, assemblee, ma a noi queste cose non interessano, pensiamo che i problemi siano altri. Ci sono famiglie, in Italia e in particolare a Napoli, che non riescono ad arrivare a fine mese. Questi, per noi, sono problemi davvero importanti e vorremmo che la gente sapesse cosa facciamo per tentare di risolverli.

 

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In effetti, vorrei che mi parlaste delle vostre attività.

 

Facciamo molto per la città: i nostri volontari organizzano una raccolta alimentare per i più bisognosi. Certo, molto di quello che facciamo è reso sempre più lento dalla burocrazia italiana. Tanto per farti un esempio, per poter sistemare il nostro banchetto all'ingresso di un supermercato e chiedere ai passanti di contribuire con qualche prodotto alimentare, è necessaria una lunga trafila per avere il permesso dai responsabili del supermercato stesso, cosa che ci pare assurda, perché non facciamo nulla che possa danneggiarli o intralciare la normale attività dell'esercizio, anzi, la nostra raccolta può invogliare le persone ad acquistare qualche prodotto in più, ma questa è la realtà del nostro Paese. Inoltre, raccogliamo farmaci di prima necessità per i detenuti del carcere di Poggioreale. Si tratta di medicinali semplici, come vitamine, integratori, che possono sembrare superflui, ma che invece, per persone che vivono in determinate condizioni, non lo sono affatto. I detenuti sono davvero gli ultimi della nostra società, nessuno bada alle loro necessità, quasi non vengono più considerati esseri umani, e lo Stato non prevede nessun tipo di percorso per il reintegro di queste persone, mentre noi crediamo molto nella detenzione rieducativa e nel fatto che tutti dovrebbero avere una seconda possibilità. Per fortuna, con il nostro impegno, molte cose sono migliorate, ma c'è ancora tanto da fare. Abbiamo anche organizzato distribuzioni di coperte per i senzatetto, coperte che, naturalmente, abbiamo acquistato a nostre spese. Ci piacerebbe fare di più, ad esempio attività ricreative, doposcuola per i bambini, ma non abbiamo uno spazio adatto a questi scopi. Lo Stato non ci ha mai regalato niente mentre, come hai potuto constatare, gli antagonisti si sono appropriati di spazi enormi, spesso in maniera anche poco chiara. A Materdei, ad esempio, c'era un monastero abbandonato (il monastero delle suore Teresiane, n.d.r.) che avevamo occupato noi. Siamo durati meno di un mese, ci hanno fatti sgomberare e se ne sono appropriati i centri sociali. Ora si chiama "Giardino liberato", ma in realtà il giardino non esiste, è un cortile minuscolo, in cui organizzano anche visite guidate, ma bisogna entrare a turno, tanto è piccolo. Hanno preso possesso della struttura con la scusa del giardino da liberare. Oltre a queste attività sul territorio, molti nostri volontari sono impegnati in Kosovo con l'Uomo libero onlus, per portare aiuti umanitari agli appartenenti alla minoranza serba, vittime di violenza e ingiustizie. Vorremmo che tutti sapessero quello che facciamo.

 

A questo proposito, qual è la risposta della gente a quello che fate?

 

Le persone, spesso, si basano sulle voci che girano sul nostro conto. Poi, però, quando ci conoscono, quando capiscono il nostro pensiero e quello che vogliamo fare, ci apprezzano e condividono le nostre idee.

 

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Pensate ci sia del pregiudizio su di voi?

 

Sì, è ovvio, soprattutto per l'azione dei giornali, che sono il canale principale attraverso il quale la gente ci conosce. Come abbiamo già detto, la verità viene spesso ribaltata. Molti giornalisti hanno addirittura paura di parlare con noi, o perché credono che siamo dei mostri, o per le conseguenze che comporterebbe scrivere di noi in maniera oggettiva. Si dicono di noi le cose più diverse e assurde, che siamo finanziati dalla camorra, che siamo pericolosi, che abbiamo legami con questo o quel partito. In realtà, come puoi vedere, siamo persone normalissime e ci autofinanziamo, motivo per il quale ci riuniamo in una sede piccola e modesta come questa. Se avessimo davvero tutti questi finanziatori e tutte queste conoscenze, non ci troveremmo a parlare qui.

 

[Continua...]

 

 

 

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