Sapevamo che Al San Carlo sarebbe arrivato qualcosa di nuovo, di stupefacente, di straordinario, che fin dalla presentazione della stagione aleggiava come un'ombra sul teatro, lí ad aspettare il suo turno per rapire il pubblico. Domenica questo momento è arrivato e il sipario si è alzato sulle note della Norma del genio Bellini. Da tempo l'aspettavamo, cercavamo d'immaginare come sarebbe stata, quali sarebbero state le scene e la lettura registica, la reazione del pubblico...un sacro rito propedeutico che ha reso interminabile e inconsciamente piacevole l'attesa. Domenica, Norma era su quelle tavole con indosso un velo di fascino onirico, di fiaba. L'azione è incorniciata dalle scene di Ezio Frigerio, già recentemente apprezzato nel Tristan und Isolde. La Norma del Maestro è intrisa di un'atmosfera atemporale, mistica. La linea drammaturgica della messa in scena oscilla tra l'umana realtà delle debolezze terrene e la fiabesca dimensione onirica, espressa da una sconfinata e livida cattedrale di alberi imperlati dai raggi della luna, luogo gelido e impervio, quello di Norma e delle sue inquietudini soffocate, nelle scene successive, da una roccia ancor più livida e devastante, pronta apparentemente a lacerare tutto quel mondo così delicato e precario che Norma stessa ha creato e conserva. La regia di Lorenzo Amato sembra insistere sullo stretto intreccio tra la dimensione privata di Norma ed il conflitto bellico con i romani, il costante rapporto che i druidi hanno con la morte e l'assassinio politico rendono umana una dimensione quasi totalmente trascendente, subordinata al volere del dio Irminsul. Amato riesce a rendere in scena la linea narrativa serratissima che Bellini costruisce, dando anche valore drammaturgico ad ogni piccolo gesto, mai cadendo nello scontato o nel superfluo. Rocce, alberi e un geniale rogo finale sono purtroppo tutti poco o affatto visibili dagli ordini di palchi più alti, rendendo apparentemente quasi impossibile per un terzo del pubblico la corretta lettura dell'opera, giá musicalmente complessa. Eppure, la grandezza di questa mise en scène traspare anche dalle "scene invisibili", la cui forza drammaturgica ed estetica giunge intatta anche a chi non riesce a vederle. A stupire, infatti, sono l'energia e l'emozione concentrate in ogni piccola porzione di palcoscenico, che rendono questa messa in scena sempre perfettamente godibile. Ad accendere il trionfo assoluto del grande pubblico sancarliano c'è il belcanto, protagonista di alcune grandi serate di questa tanto attesa Norma: autrice ne è Mariella Devia, veneranda gloria del canto lirico e forse ultima detentrice, insieme con la collega Gruberova, di un modo di cantare purtroppo andato: la sua Norma ha, in primo luogo, parvenze di belcanto, a vantaggio dell'orecchio di certo, ma a discapito di alcuni momenti tragici della partitura Belliniana, come il furente terzetto del primo atto non esattamente reso come Bellini, in questo caso, comanda. La Devia stupisce per la solidissima tecnica, che mostra solo frammenti di affaticamento ed imperfezione, lacune che comprendono maggiormente il fiato corto nelle parti di agilità, ma che non compromettono un'emissione delicatamente servita o un fraseggio da imperatrice. La Devia sfoggia inoltre i frutti di anni di cura vocale in un registro acuto compatto e nitido, elemento del suo canto che più stupisce, viste le sue primavere. Considerando la vocalità della signora Devia, la tecnica, il canto, non c'è nulla da dire o ridire: il canto è perfetto, intonato, pulito, tuttavia la cantante è, come già detto, un soprano leggero, non riuscendo quindi, nonostante un fraseggio espressivo e dettagliato, a ritrarre una Norma davvero tonante e drammatica, rendendo più timidi e materni gli accenti spigolosi e scomodi della sacerdotessa druidica. La Norma del secondo cast è Daniela Schillaci, una Norma temprata dalla gelosia e profondamente stoica, caratteristiche evocate da un timbro acido e da un fraseggio costruito con sottile e cinica cura. La Schillaci dimostra un notevole potenziale vocale che sorprende particolarmente per sonorità e colori straordinari, drammatici, oltre ad un'impostazione da soprano leggero che difficilmente si riscontra tra le giovani cantanti contemporanee: si pensi per esempio all'impervio passaggio da registro acuto a grave che la cantante effettua con tecnica solidissima, che più volte è venuta a mancare in un registro acuto spesso piatto e mal intonato, oltre che in un grave a tratti calante ed impreciso.
Il tenore Luciano Ganci è un Pollione dai tratti vocali latini, il cui canto dal timbro lievemente chiaro è dolce e contenuto. La scelta di una voce così poco influente sul piano drammaturgico isola e rafforza l'immagine di Norma e lo fa in maniera accidentale a dir poco. La Devia stessa fa fatica a mostrarsi drammatica dato che drammatica non è, e con un Pollione come Ganci il drammatico cede alla cadenza da romanza che poco c'entra con la Norma. Infine, nel ruolo di Adalgisa, al fianco della Devia, c'è Laura Polverelli, appesantita da un vibrato doppio e non sempre piacevolissimo oltre che da un'interpretazione abbastanza indefinita seppur corretta; meravigliosi i duetti con Norma che strappano trionfi a scena aperta da parte di un calorosissimo pubblico. L'Adalgisa di Anna Goryachova risulta di bel colore e tecnicamente soddisfacenrte. A dirigere il canto è il Maestro Nello Santi, grande sostenitore dell'orchestra sancarliana, che anima con fervente impeto romantico la divina partitura belliniana, calibrando il suono a sostegno delle voci in palcoscenico, servendosi per la prima volta, dopo anni di rinunce, della partitura sotto il segno di Bellini. Ad eccezione di qualche sfasaura interna e di qualche leggera rincorsa di soccorso, l'orchestra concerta con dettagliata cura a sostegno della linea drammaturgica, ritrovando un'identità, un contenuto espressivo autentico e palpabile.
A vestire i panni del guerrigliero popolo druido la compagine corale del nostro San Carlo, diretta dal maestro Marco Faelli, che ritrova anch'essa una propria armonia dopo gli impegni mahleriani dell'inizio di stagione in cui brilló davvero di luce propria. Le fiamme divampano in sala, il trionfo avvolge il palcoscenico, il sipario cala: termina una Norma che tutti, giovani o abituali frequentatori, ricorderemo.
Nonostante piccole imperfezioni, l'opera riesce perché, come raramente accade, avvolge il pubblico con l'atmosfera affascinante e tesa che Norma evoca, un pathos difficile da interpretare, ma che risiede perfettamente nella direzione di Santi, così come nella messa in scena che la richiama in maniera particolarmente geniale. A luci accese, dopo un giusto trionfo, la scossa emotiva è forte e intens, e arriva integra e completa agli spettatori. Nonostante il leggero addolcimento della linea drammatica che Bellini costruisce, tutto funziona comunque, non manca nulla, nulla delude.
Questo è il teatro che il pubblico desidera, un teatro che continua nel ricordo anche a luci accese, che fa piangere e urlare il pubblico e che fa sorridere finanche gli stoici in sala, che al San Carlo proprio non mancano. La meraviglia e la soddisfazione che questa Norma ha riscosso continueranno a resistere nei ricordi del teatro ancora per molti anni, di questo ne siamo certi.