ANTEPRIMA Festa del cinema di Roma: "Mustang" ed "Eva non dorme"

Martedì, 27 Ottobre 2015 00:00
  

Una nazione si riconosce nei santi, negli eroi e nei simboli. Un popolo ha bisogno di un Leader che possa trascinarlo con coraggio e ottimismo verso il futuro. In Sud America accade spesso che gli uomini politici fondino parte del loro potere sul culto della personalità e sul carisma. Raramente avviene per una donna ma, se questa donna è Evita Peròn, la prospettiva cambia del tutto. Per gli Argentini Evita Peròn è una santa, un'icona, una protettrice, la donna che incarnò i desideri e i sogni della povera gente, diventandone il megafono. Evita fu solo la “First Lady” del Presidente Peròn ma, nei fatti, era lei a comandare e influenzare l’azione di governo. Quando morì a soli trentatre anni per un cancro, un intero Paese si fermò per rendere omaggio alla  sua “eroina”. Anche adesso Evita esercita fascino e influenza sulla popolazione e, quando i vertici militari decisero di rovesciare il governo peronista nel 1955, compresero che anche il solo corpo della donna potesse provocare disordini e così decisero di occultarlo. “Eva non dorme”, del regista Pablo Aguero con Gaèl Garcia Bernal, è un mal riuscito ibrido di generi tra lo spionistico e lo storico.

Costruito, da una parte, con uno stile cupo e angosciante, per rendere chiaro ed esplicito allo spettatore il grave e tragico momento storico dell’epoca e, dall’altra, esasperati i toni e le reazioni dei personaggi con il desiderio di raccontare la venerazione di un popolo, il film si impantana fin da subito in una palude narrativa difficile da superare per il pubblico.

La scelta di suddividere la storia in tre piccoli atti, come se fosse una tragedia, invece di aumentare il pathos e il ritmo, la rende assai lenta e macchinosa. Non convince la cornice in cui si muovono i personaggi, anch’essi messi in scena in una chiave tra l’onirico e il surreale poco aderente alla realtà.

È possibile fare cinema con gli strumenti del teatro, ma non con questi modesti risultati.

L’idea di raccontare come il corpo di Evita Peròn sia stato trafugato e nascosto in Vaticano per decenni è assolutamente interessante e intrigante, ma poi la messa in scena di una regia opaca e statica porta lo spettatore lentamente alla noia, non avendo più chiaro il vero filo rosso della storia.

Dispiace scriverlo, ma anche alla Festa del cinema di Roma ho visto un film non meritevole di essere guardato.

Da una donna forte argentina come Evita Peròn, nel pomeriggio mi sono spostato in Turchia per conoscere e apprezzare cinque piccole donne, sorelle che, a modo loro, combattano per rivendicare libertà e indipendenza. Sto parlando dell’interessante film "Mustang” della regista franco-turca Deniz Gamze Erguven che già a Cannes ha riscosso consensi di critica e pubblico, vincendo un premio e che la Francia ha candidato agli Oscar come miglior film francese, meritevole, a mio parere, di un biglietto “Ridotto”.

La Turchia è stata colpita, pochi giorni fa, da un tragico attentato oltre ad essere da tempo criticata dai media stranieri per il mancato rispetto dei diritti civili e politici. Ed è soprattutto la condizione della donna in Turchia ad essere molto critica, vittima  di un tentativo di ridurla ad oggetto dell’uomo.

“Mustang” è un magnifico e amaro affresco della società turca che racconta quale sia il pensiero dominante.

Lo spettatore conosce fin dalla prima scena le belle e spensierate Lale, Nur, Ece, Selma e Sonay, ragazze semplici che  studiano e amano trascorrere ore in compagnia degli amici, fare una passeggiata al mare e tanto altro, ma ciò che ai nostri occhi appare “normale”, in Turchia e, in particolare a Inèbolu, paesino a 600 km da Istanbul, può diventare motivo di censura.

Le cinque sorelle, orfane di entrambi i genitori, vengono di fatto recluse in casa dalla nonna e dallo zio, preoccupati che la condotta “indecorosa” delle nipoti possa portare vergogna alla famiglia.

Le ragazze vengono “istruite” per diventare delle vere donne turche e quindi adatte al matrimonio.

Non importa che siano appena adolescenti o che magari abbiano sogni o amori propri, è la famiglia a stabilire chi sposare e  quando.

In rapida successione, Lale e Nur vengono date in moglie, non prima di aver verificato, con una visita ginecologica, che siano ancora vergini. Lo spettatore osserva queste scene e non può non provare empatia e compassione per le ragazze, costrette a subire questa violenza psicologica e morale. Una violenza che Ece, la terza sorella destinata al matrimonio, rifiuta preferendo compiere un atto estremo.

In un clima di terrore e imposizione, è la piccola Sonay a rappresentare la ribellione e la voglia di emanciparsi e rifiutare il futuro scritto da altri. “Mustang” è un pugno nello stomaco e, nello stesso tempo, fa sentire lo spettatore partecipe e arrabbiato di fronte a certi scenari. Il testo è ben scritto, diretto, duro, tanto da rieuscire a trasmettere emozioni e sensazioni chiare e precise. Forse sarebbe stato più opportuno asciugare maggiormente il testo. Dopo una buona partenza vivace, le autrici, per rendere chiaro il messaggio, allungano troppo il brodo, facendo perdere incisività e pathos alla storia. "Mustang” ha il pregio di un impianto narrativo semplice e funzionale con delle scene costruite in maniera teatrale ma, se da una parte coinvolge lo spettatore, dall’altra incorre nel rischio della staticità narrativa e di far perdere quota al lato emotivo.

La regia è interessante, delicata e capace nel dirigere delle quasi esordienti e nel creare una sintonia molto forte, è mancante però per non essere riuscita a mantenersi costante e equilibrata nel dare ritmo alla storia, facendo così perdere un po’ della sua magia e freschezza.

Le cinque giovani attrici sono tutte meritevole di menzione e di un plauso per come sono riuscite a creare tra loro affinità e affetto, quasi fossero vere sorelle. Una simbiosi artistica e umana degna di nota. Non si può però non spendere una parola in più per Ilayda Akdogan che interpreta la piccola Sonay, voce narrante del film e anima del gruppo. Una performance davvero notevole e ricca di personalità. Un film toccante e ottimista, anche grazie a una bella fotografia, non può che essere un invito a tutte le donne a non perdere la speranza e a non chinare mai la testa di fronte a chi si illude di poterle privare della loro libertà e personalità.

 

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