ANTEPRIMA Festa del cinema di Roma: Sergio Rubini e il suo "Dobbiamo parlare"

Martedì, 27 Ottobre 2015 00:00
  

Quando una coppia incomincia a parlare è assai probabile che il rapporto entri in crisi. Se tale richiesta arriva da una donna, la catastrofe è imminente. Quali siano i segreti dello stare insieme, a prescindere se ci sia l’amore o la felicità, è il punto di partenza della nuova commedia ”Dobbiamo Parlare”, scritta, diretta e interpreta da Sergio Rubini e presentata alla Festa del Cinema di Roma. Un film diverso dal solito fin dall’ideazione e produzione poiché, come ha sottolineato Rubini in conferenza stampa, dopo la stesura del testo, scritto anche dallo scrittore Diego de Silva e da Carla Cavalluzzi e la scelta degli attori, Fabrizio Bentivoglio, Isabella Ragonese e Maria Pia Calzone, il produttore Carlo Degli Esposti ha accolto l’idea del regista di farne una prima “pièce" teatrale con sei repliche nelle Marche per saggiare le reazioni del pubblico in sala e, soprattutto, valutare la qualità dei contenuti. Un esperimento nuovo per l’Italia, che ci auguriamo possa essere replicato, pochè gli effetti positivi si sono visti nella messa in scena cinematografica. Girato in una stanza che sembra ricordare il film inglese ”Carnage”, anch’esso di origine teatrale, trova, dopo una partenza faticosa, una sua vivacità narrativa e fluidità scenica per merito degli interpreti, che dimostrano di aver creato un team affiatato e convincente. Due coppie agli antipodi che si ritrovano, una notte, a invertirsi i ruoli e a confrontarsi sullo stato del loro rapporto. Come fosse una “pièce teatrale”, nella prima parte guadagna il centro della scena la coppia in crisi più sguaiata e nevrotica, composta dal Prof (Bentivoglio) stimato chirurgo, ma rozzo e volgare nei modi e nel linguaggio e dalla moglie Costanza (Calzone), i quali si autoinvitano a casa degli amici Vanni (Rubini) e Linda (Ragonese), entrambi scrittori, per sfogarsi e accusarsi reciprocamente delle proprie infedeltà e soprattutto problematiche matrimoniali. Ma, più si urlano contro e minacciano di separarsi, più la coppia si avvicina, mostrando una solidità affettiva di fondo, al di là delle divergenze. Invece, la coppia Vanni-Linda, che si ritaglia all’inizio la parte di arbitro e di mediatore, in apparenza granitica e sicura di sé, incomincia a sgretolarsi e a porsi delle domande sulla propria relazione. Le urla di Costanza diventano i dubbi di Linda. Le mancanze del Prof si trasformano nei limiti e nelle passività di Vanni agli occhi della compagna. Un riuscito gioco di ruoli in cui nulla rimane stabile e fermo, confermando come la parola ferisca più di una spada. Fabrizio Bentivoglio, che ricorda, nella gestualità, nei toni e nella fisicità, il compianto Mario  Brega, è perfettamente calato nel ruolo senza mai eccedere, dando al suo personaggio una cifra comica inaspettata e confermando il suo talento. Maria Pia Calzone regala una prestazione solida, in linea con il personaggio, un egoismo elegante e incisivo. Isabella Ragonese, dopo un inizio a fari spenti, si illumina nel finale, dando prova di spessore e di grande forza interpretativa. La regia di Rubini è pulita, forse un po’ statica e con ritmo narrativo a singhiozzo, ma convince nella direzione degli attori e riesce a mantenere fino alla fine un buon pathos narrativo, meritandosi un biglietto “Ridotto”.

Dopo la violenza delle parole della sera,la mattina successsiva lo scenario è cambiato completamente con il film “Carol” di Todd Haynes. Lodato allo scorso Festival di Cannes e premiata come miglior attrice Rooney Mara, ero molto curioso di vederlo. Basato sul romanzo Carol di Patricia Highsmith, il film è ambientato all’inizio degli anni cinquanta a New York. Racconta l’amore lesbo tra  la  raffinata e compita Carol(Blanchett) e la giovane e aspirante fotografa Therese (Mara). Due donne che si  trovano causalmente in grande magazzino e fin dal primo incontro tra le due  scocca una scintilla,una simpatia,un’attrazione che le porta lentamente a un legame forte e puro. Carol è una donna borghese, elegante, a un passo dal divorzio e con una figlia piccola. Non sappiamo molto di lei, ma lo spettatore coglie il desiderio della donna di liberarsi  dalle catene sociali imposte per poter vivere appieno sua identità anche sessuale. Un’identità che ha provocato la rottura con il marito e rischia di farle perdere l’affidamento della figlia. Eppure Carol non vuole più fingere con se stessa e il mondo. Come  l’ingenua Therese, che non ha ben chiaro il proprio futuro, sente di essere attratta da Carol e non rinuncia a seguire il suo istinto, Non vuole sposarsi come imporrebbe l’etichetta. È un inno al coraggio, alla libertà che qualsiasi donna dovrebbe e vorrebbe avere. La forza di dire "no" all’uomo e di poter affrancarsi. Temi forti resi in maniera egregia dalla coppia Blanchett-Mara che, con poche parole e tanti silenzi e sguardi, riescono a trasmettere una carica emotiva intensa e creano un ponte emotivo con il pubblico. Rooney Mara si conferma attrice in costante crescita artistica. Ciò però non basta a salvare il film da un'esasperante lentezza e staticità narrativa che rende la visione del film assai faticosa.

Un messa in scena teatrale bella, delicata, ma che soffoca il ritmo e appesantisce la fluidità del racconto, condizionando l’attenzione del pubblico.

La regia di Todd Haynes, anche se di valore, rimane impantanata nella palude psicologica dei personaggi senza riuscire a dare loro vivacità e briosità. Probabilmente siamo davanti a un romanzo sentimentale poco adatto al cinema.

Il finale è bello, delicato, toccante e registra un cambio di passo ritmico che premia la virtuosa performance delle due attrici, facendo ottenere al film un "biglietto pomeridiano".

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