"Le meraviglie": il premio a Cannes è la vera meraviglia

Lunedì, 02 Giugno 2014 14:27
  

Zhang Yimou, Lars von Trier, Roberto Benigni, Michael Haneke, Aki Kaurismaki, Nuri Bilge Ceylan, Park Chan-wook, Jim Jarmusch, Matteo Garrone, Jacques Audiard, i fratelli Dardenne e quelli Coen: il club a cui si è iscritta Alice Rohrwacher è composto da membri illustri, ed è quello dei vincitori del Gran Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes – i nomi indicano alcuni dei vincitori degli ultimi vent’anni – che rappresenta il premio più prestigioso dopo la Palma d’oro.

La giovane regista italo-tedesca ha fatto il colpo grosso con l’unico film italiano in concorso, “Le meraviglie”, suo secondo lungometraggio dopo “Corpo celeste” del 2011 per cui ottenne il Nastro d’argento quale miglior regista esordiente. Dell’opera prima riprende alcuni temi portanti: il delicatissimo passaggio tra infanzia e adolescenza, con punto di vista prettamente femminile, e il ruolo deleterio della televisione quale forza corruttrice. Cambia però il contesto: dalla Calabria si passa in un luogo imprecisato del centro Italia, in una campagna isolata dove vive Wolfgang (Sam Louwyck), apicoltore tedesco trapiantato nel Belpaese dove vive con la moglie (Alba Rohrwacher, sorella più famosa della regista), una connazionale e ben quattro figlie femmine. La sua utopia anti-moderna è la creazione di un micro-cosmo chiuso, compenetrato con la natura, impermeabile alle influenze esterne: tuttavia nessuno è un’isola, e il vento del cambiamento soffierà forte grazie all’ingresso in famiglia di un ragazzino tedesco da “riabilitare”, e all’imminente svolgimento di un buffo proto-reality in salsa etrusca e sfondo agreste, condotto da un’eterea presentatrice interpretata da Monica Bellucci. In entrambi i casi a scardinare le certezze di Wolfgang è la primogenita Gelsomina (Maria Alexandra Lungu), che si fa portatrice della necessità dell’apertura al mondo esterno.

Il film ha avuto molti apprezzamenti, nazionali e soprattutto internazionali, che hanno contribuito alla conquista insperata e clamorosa del prestigioso riconoscimento. Fu vera gloria? C’è più di un’obiezione da fare: i tanti momenti francamente noiosi e probabilmente inutili, una storia fuori dal tempo – l’unico indizio per una sua “datazione” è il tormentone di Ambra Angiolini “T’appartengo” – ma anche fuori tempo massimo, l’incomprensibilità, forse di natura autobiografico-autoreferenziale, di utilizzare molteplici lingue con il corredo di sottotitoli che appesantiscono una visione già di per sé non facile.

Da apprezzare la fotografia, un vago tocco di realismo magico, la sincerità degli intenti dell’autrice; tuttavia, come ha scritto sul “Guardian” l’eminente critico Peter Bradshaw: “this is an entertaining, affecting piece of work - but not wonderful”, ovvero è un lavoro interessante e toccante, ma non meraviglioso.

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Alberto E. Maraolo

Laureato in "Medicina e Chirurgia" presso la "Federico II" nel 2010, attualmente lavora come medico specializzando in Malattie Infettive presso lo stesso Ateneo. 
Cinefilo onnivoro, sogna giornate di 48 ore per dedicare il tempo necessario ai tanti altri (troppi?) interessi: musica (rock e colonne sonore), sport nazional-popolari (calcio, ciclismo e motori) e non (basket USA), letteratura, storia, filosofia, fisica e logica for dummies.

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